La DG Occupazione, Affari Sociali e Inclusione della Commissione europea ha recentemente pubblicato il “2013 Employment and Social Developments in Europe Review”, rapporto che ogni anno “fotografa” i cambiamenti socio-economici in Europa e monitora le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini nei diversi Stati membri con l’obiettivo di informare i policy maker circa le necessità in termini di politiche sociali.
In linea con i risultati delle edizioni 2011 e 2012, ESDE 2013 offre – attraverso lo studio delle crescenti disuguaglianze economiche e sociali nell’euro zona – un ulteriore supporto analitico al recente dibattito sulla necessità di rafforzare la “dimensione sociale” dell’UE per migliorare la performance economica e sociale dell’Europa tutta. La Commissione Europea – scrive il Commissario Andor nella prefazione al volume – vuole scongiurare il rischio della “jobless recovery” mostrando ai governi nazionali la necessità di una strategia improntata sui pilastri dell’occupazione e della lotta alla povertà.
Nei sette capitoli il documento affronta molte questioni cruciali come le prospettive future del mercato del lavoro in Europa, le politiche a sostegno dei lavoratori e per combattere la povertà, il ruolo delle donne nel mercato del lavoro e le loro condizioni lavorative, la diffusione e l’impatto del lavoro nero e l’efficacia delle politiche sociali di fronte alla crisi economica.
L’Europa nel contesto globale
I dati dipingono una situazione ancora incerta, caratterizzata da un debole miglioramento a seguito della crisi economica: i livelli di occupazione risentono della difficile congiuntura economica, e i sistemi di protezione sociale non riescono a soddisfare i bisogni di tutti i cittadini in difficoltà. Come si evince dalla figura 1 l’occupazione in Europa ha risentito della crisi più che in altri paesi, come gli Stati Uniti e la media dei paesi OCSE.
Figura 1. Tasso di occupazione in UE e OCSE, anni 2008-2013
Fonte: ESDE 2013, p. 17.
La spesa sociale nei paesi europei è mediamente più alta che all’estero: nel 2005 era infatti pari al 25% del PIL, a fronte del 19% dei paesi OCSE e al 16% degli Stati Uniti. Se si include però la spesa sociale privata le differenze si riducono: il 24% dei paesi OCSE e il 26% degli USA si avvicinano al 28% della media UE.
Il lavoro nell’euro zona
Nell’ultimo decennio il mercato del lavoro europeo, seppur con importanti differenze da un paese all’altro, è profondamente cambiato: gli occupati nell’industria e nel settore agricolo sono diminuiti mentre sono aumentati gli occupati nel terziario, specialmente nei servizi alle imprese e nella comunicazione. Il 56% dei lavori nel settore dei servizi sono knowledge intensive, a dimostrazione del grande potenziale occupazionale negli ambiti della ricerca e dell’innovazione tecnologica. La figura 2 mostra i cambiamenti nella skill composition, il livello di istruzione e formazione dei lavoratori europei.
Figura 2. La skill composition dei lavoratori nell’UE, anni 2000-2020
Fonte: ESDE 2013, p. 104.
Ancora una volta, e nonostante il duro colpo inferto dalla crisi, l’analisi conferma l’importanza del fitto tessuto di piccole imprese che sorreggono le economie nazionali. La figura 3 mette in relazione per ogni paese nascita e “morte” delle imprese, mentre la figura 4 ne evidenzia le percentuali per dimensioni dell’azienda. Nonostante le imprese individuali e sotto i 10 dipendenti siano quasi ovunque le realtà produttive più colpite dalla crisi, esse sono al tempo stesso quelle più in grado di “rigenerarsi” così da produrre nella maggior parte dei paesi europei un saldo positivo tra apertura e chiusura di aziende.
Figura 3. Guadagni in termini di occupazione dovuti a nascita e chiusura di imprese, anno 2005
Fonte: ESDE 2013, p. 71.
Figura 4. Percentuali di nascita e fallimento delle imprese suddivise per numero di occupati, anno 2010
Fonte: ESDE 2013, p. 73.
In che modo la globalizzazione causa perdita di posti di lavoro? Le aziende europee si spostano all’estero? La figura 5 presenta, attraverso uno studio di 85 imprese operanti in Europa, le principali cause di riduzione dell’organico aziendale. Se l’offshoring appare lievemente aumentato dal 2011 al 2012, ciò che colpisce sono però il tragico incremento delle chiusure e la percentuale consistente di riorganizzazioni interne.
Figura 5. Percentuale di perdita di lavoro annunciata per tipo di ristrutturazione aziendale, dal 2002 al 2012
Fonte: ESDE 2013, p. 81.
Come incideranno i trend demografici sul mercato del lavoro in Europa? Basta un rapido sguardo alla figura 6 per capire come il rapporto tra popolazione attiva e inattiva stia velocemente cambiando. Se nel 2002 le regioni europee colorate di blu scuro – a indicare un’alta percentuale di popolazione attiva sulla popolazione totale – erano numerose, nel 2032 l’Europa apparirà come una cartina grigia con qualche macchia di colore: i baby boomers del secondo dopoguerra non faranno infatti più parte della forza lavoro e la bassa fertilità non consentirà un sufficiente ricambio generazionale, specialmente in paesi come Germania, Austria e Italia. La carenza di risorse umane, accentuata ancora di più dalla tendenza dei più giovani a emigrare, produrrà in molte regioni europee un mercato del lavoro stagnante e la conseguente perdita di competitività delle imprese locali. Per questo sarà cruciale la capacità dei governi di promuovere da un lato gli investimenti nel capitale umano e nell’innovazione per salvaguardare la competitività, e dall’altro di spingere lo sviluppo di “infrastrutturazione sociale” che funga da incentivo per i lavoratori a restare.
Figura 6. Percentuale della popolazione in età da lavoro (20-64) sulla popolazione totale, anni 2002-2032 (assumendo uno scenario occupazionale positivo)
Fonte: ESDE 2013, p. 85.
Il rapporto evidenzia inoltre l’importanza di favorire, all’interno di una strategia ampia per l’occupazione e la coesione sociale, la crescita dell’impresa sociale. Un settore che consente l’ingresso nel mondo del lavoro anche a figure che avrebbero difficoltà a collocarsi in aziende for profit, e si caratterizza per l’offerta di servizi alle persone come i servizi per l’infanzia, l’educazione, e l’aiuto alle persone in difficoltà.
Una prospettiva di genere
E’ interessante notare come il tasso di occupazione femminile negli ultimi anni risenta della condizione economica meno di quello maschile. Se i tassi di occupazione di donne e uomini si muovono – in linea generale – seguendo le fluttuazioni del PIL, la variazione nel numero delle lavoratrici sembra essere meno collegata all’andamento dell’economia nazionale (figure 7 e 8). Questo potrebbe dipendere non solo dalla differente partecipazione di uomini e donne nei diversi settori produttivi – a loro volta colpiti diversamente dalla crisi – ma anche dalla diversa diffusione dei contratti di lavoro.
Figura 7. Variazione del PIL e numero degli occupati uomini e donne per gli anni 2008-2010 e 2011-2012
Fonte: ESDE 2013, p. 174.
Figura 8. Tassi di occupazione e numero medio di ore di lavoro settimanali (in alto), tassi di occupazione full time per uomini e donne anni 2006-2012 e gap. UE 28, popolazione 15-64 anni
Fonte: ESDE 2013, p. 178.
Riferimenti