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Renzi come Clinton e Blair? Il paragone è stato proposto dal politologo americano Fareed Zakaria, durante la recente visita del nostro Premier a New York. Non si è trattato solo di una captatio benevolentiae per iniziare la conversazione, alla quale peraltro partecipava anche Bill Clinton. La battuta di Zakaria esprimeva una diagnosi e un suggerimento su cui vale la pena di riflettere. La sinistra moderata europea è oggi allo sbando: qualcuno (forse Renzi?) dovrebbe raccogliere, aggiornandola, l’eredità della Terza Via, il suo patrimonio di idee e valori e, in particolare, i suoi progetti di modernizzazione del modello economico e sociale europeo.

Oggi in Europa ci sono sia lo spazio sia la domanda per un nuovo riformismo di centro-sinistra, ambizioso e al tempo stesso realista. La parabola del liberismo di matrice anglo-sassone è in fase discendente. Durante la crisi ha messo però radici una grigia cultura politica basata sul rispetto di regole e numeri (3% di deficit, 60% di debito, 2% di inflazione e così via). Sono i precetti del cosiddetto “ordo-liberalismo” alla tedesca. Utili, per carità, al fine di scoraggiare politiche fiscalmente irresponsabili. Ma muti sui contenuti, sui fini ultimi da proporre a elettori sempre più insicuri e disorientati.

La socialdemocrazia sembra aver perso la voce e forse persino la testa per pensare, soprattutto dove è al governo. Dalla Francia giungono solo lamenti senza proposte. La SPD è appiattita sulle posizioni di Angela Merkel ed è ormai incapace di guardare oltre i confini (e gli interessi) della Germania. Gli Scandinavi sono ripiegati su se stessi e rincorrono i loro concorrenti neo-populisti. Con l’elezione di Corbyn, i laburisti hanno innestato la marcia indietro verso il Novecento. Le fiamme di Syriza hanno prodotto solo rovine e lo stesso Tsipras ha dovuto trasformarsi da piromane in pompiere.

Ciò che stupisce e dispiace è che nei circoli accademico-intellettuali europei circolano invece molte buone idee. Pensiamo al cosiddetto “paradigma dell’investimento sociale”, elaborato per rispondere alla sfida oggi più pressante: rilanciare una crescita sostenibile, capace di produrre buona occupazione. Senza mettere in discussione né la logica di mercato né gli equilibri di bilancio, questa strategia vede nelle politiche sociali e nell’istruzione la leva del cambiamento. E guarda ai gruppi oggi più svantaggiati (bambini, giovani, donne, anziani espulsi dal lavoro, ma motivati a rimanere attivi) come ai soggetti su cui investire e scommettere. Un approccio convincente e sicuramente in linea con la tradizione del centro-sinistra. Anche sul versante UE si discutono proposte innovative, come quella di affiancare all’Unione economica e monetaria una vera e propria Unione sociale, capace di conciliare alti livelli di welfare nazionale con la promozione di nuove solidarietà paneuropee. Alcuni degli esponenti di questo neo-riformismo liberal si sono ritrovati a fine settembre nelle aule del Trinity College a Cambridge. Hanno in mente di pubblicare un libro, ma le loro idee dovrebbero interessare e far discutere anche i leader del centro-sinistra, non solo gli studenti.

L’Italia è ancora vista (e a ragione) come un paese pieno di problemi. Ma si sta anche diffondendo la percezione di un cambiamento. In visita a Roma per discutere di riforme strutturali, gli esperti della Commissione hanno espresso valutazioni molto positive: era un po’ che non succedeva. Anche i giornali stranieri cominciano a usare toni diversi quando parlano di noi. Se questi sviluppi si consolidano, il nostro paese potrebbe diventare un buon esempio di centro-sinistra “che funziona”.

Il Renzismo come nuova Terza Via? Fu proprio Blair ad affermare: “la Terza Via è ciò che funziona” (sottinteso: nel promuovere la crescita, proteggendo i più deboli). La definizione era in realtà un britannico understatement. Dietro al New Labour c’era una articolata cornice di pensiero, attento non solo a problemi e soluzioni, ma anche a valori e principi. E c’era una efficacissima strategia comunicativa, interna e internazionale. Tutto questo nel centro-sinistra italiano non si vede.

Rispondendo a Zakaria, il nostro Presidente del consiglio si è schernito con spiritosa modestia. Ma qualche margine per alzare il tiro in effetti c’è. Ciò richiede però un serio investimento sui contenuti. Il discorso pubblico di Renzi è, sì, imperniato sul cambiamento, la rottura con il passato, l’urgenza del fare. Ma resta povero di sostanza, di idee-guida che possano far presa anche fuori dal perimetro nazionale. Clinton e Blair poterono disporre sin dall’inizio di un robusto tessuto di “pensatoi” per l’elaborazione intellettuale. A Roma il retroterra va costruito e non si può essere troppo ambiziosi. Qualcosa però si può fare. Il riformismo europeo ha bisogno di una bella spinta per rimettersi in moto. Pur tenendo conto dei limiti oggettivi, Matteo Renzi potrebbe rimboccarsi le maniche e provarci davvero.


Questo articolo è comparso anche su Il Corriere della Sera del 5 ottobre 2015