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È sicuramente una buona notizia la decisione del governo di aprire il 2016 con la presentazione di un disegno di legge per il contrasto alla povertà, il riordino delle prestazioni e del sistema degli interventi e dei servizi sociali, che prevede una misura strutturale di protezione di ultima istanza per i poveri assoluti1 − 1 miliardo di euro all’anno a partire dal 2017 − che colma una grave distanza con gli altri paesi dell’Unione europea nelle politiche d’inclusione attiva2.

Nella bozza del disegno di legge delega si prevede l’introduzione di una un’unica misura nazionale contro la povertà, “individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale”, e che il sostegno economico sia “sottoposto alla prova dei mezzi “ (ISEE) e “condizionato all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa volto all’affrancamento dalla condizione di povertà”, erogato dai servizi competenti e in primo luogo dai centri per l’impiego.

Già per il 2016, in attesa dell’approvazione della legge delega, sono stati stanziati 600 milioni contro la povertà per finanziare il SIA – il “Sostegno per l’inclusione attiva” sperimentato in 12 città – e 200 milioni per l’ASDI, l’Assegno di disoccupazione, che interviene quando è esaurita la NAsPI, la nuova prestazione di disoccupazione universale. Anche queste due misure sono basate sul principio dell’inclusione attiva ed è prevista la presa in carico dei beneficiari da parte dei centri per l’impiego, con misure particolarmente stringenti per l’ASDI la cui erogazione è condizionata alla sottoscrizione di “un patto di servizio personalizzato, redatto dal centro per l’impiego, in collaborazione con il richiedente, a seguito di uno o più colloqui individuali”.

Questi nuovi compiti dei centri per l’impiego, che riguarderanno una platea annua di circa un milione di poveri assoluti con figli minorenni, che hanno maggiore difficoltà d’inserimento e ricollocazione nel mercato del lavoro, si aggiungono a quelli già disposti dal Jobs Act che prevede analoghi meccanismi di condizionalità per l’erogazione della NAsPI, della DIS-COL (Indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata) e dell’indennità di mobilità per il licenziamenti collettivi, a circa 1,1 milioni di disoccupati, che dovranno essere presi in carico ogni anno dai Cpi per stipulare il patto di servizio personalizzato ed erogare le altre misure di politica attiva.

Ma i clienti dei centri per l’impiego saranno ancora più numerosi, perché i decreti attuativi del Jobs Act prevedono che i disoccupati non percettori di sussidi debbano, per poter confermare lo stato di disoccupazione, essere convocati dai centri per l’impiego “per la profilazione e la stipula di un patto di servizio personalizzato”. Non possiamo dimenticarci i beneficiari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro (cassa integrazione superiore al 50% dell’orario di lavoro), che “devono essere convocati in orario compatibile con la prestazione lavorativa, dal centro per l’impiego […] per stipulare il patto di servizio personalizzato”. Infine, i Centri per l’impiego dovranno continuare a gestire per altri anni il programma europeo Youth Guarantee, che attualmente ha in carico circa 950 mila giovani Neet registrati.

Complessivamente, a regime, i centri per l’impiego dovranno prendere in carico annualmente una platea costituita da oltre tre milioni di persone, costituita dai disoccupati percettori e non percettori di prestazioni di disoccupazione, dai cassaintegrati, dalle persone che si trovano in povertà che riceveranno la nuova misura universale e dai giovani alla ricerca di una prima occupazione. Sarebbe anche auspicabile che i rifugiati e più in generale gli immigrati fossero presi in carico dai servizi, per la loro integrazione nel mercato del lavoro, come accade negli altri paesi europei, dove i centri d’accoglienza s’interfacciano strutturalmente con i public employment services.

In un precedente articolo avevo avvertito che il Jobs Act rischia di fallire per l’insostenibilità del costo degli ammortizzatori sociali e per l’inefficienza dei centri per l’impiego: gli operatori dei servizi pubblici per l’impiego in Italia sono, in rapporto con gli utenti, in numero inferiore alla soglia minima necessaria per offrire un servizio veramente utile alle persone in cerca di lavoro e alle imprese. “Infatti, gli addetti ai Cpi in Italia sono poco meno di 9 mila (6 mila a contatto con gli utenti) e ognuno dovrebbe assistere 254 disoccupati registrati. In Germania questo rapporto è di 26:1, grazie ai 110 mila addetti al bundesagentur für arbeit, nel Regno Unito ognuno dei 78 mila operatori dei job centre plus ha in carico solo 20 jobseekers, in Francia, con quasi 50 mila addetti dei pôle emploi, il rapporto è di 65:1, mentre in Svezia e in Danimarca tale rapporto scende rispettivamente a 17:1 e a 15:1”.

Oggi la situazione si è ulteriormente aggravata perché, a causa delle incertezze normative seguite all’abolizione delle province, molti operatori hanno trovato un altro lavoro e il numero degli addetti ai Cpi si è ridotto a circa 7.500 unità. La platea dei clienti, come abbiamo visto, è aumentata enormemente e, soprattutto, le norme che condizionano l’erogazione delle prestazioni all’attivazione della persona e alla sua sottoscrizione del patto di servizio sono diventate, per fortuna, più vincolanti, come si auspicava nell’articolo appena citato. Un significativo miglioramento organizzativo è contenuto nell’ultimo decreto attuativo del Jobs Act, che ha liberato i centri dalle principali incombenze amministrative, tra le quali la certificazione dello stato di disoccupazione che serviva anche per beneficiare degli interventi sociali di comuni e regioni, ma non è certamente sufficiente per colmare la carenza strutturale di personale rispetto agli standard europei.

Infatti, in un rapporto di Italia Lavoro3 si stima che gli operatori necessari per erogare solo i principali 4 servizi previsti dal decreto legislativo di attuazione del Jobs Act, tra cui il patto di servizio personalizzato, e dal programma Garanzia Giovani sono pari a oltre 14.600 unità, superiori di 5.900 rispetto agli addetti dei centri per l’impiego censiti nel 2013, che oggi sono ulteriormente diminuiti (figura 1). Nelle regioni del Nord questa differenza sarebbe pari a quasi 3.400 operatori (-1.400 addetti solo in Lombardia), in quelle del Centro a quasi 1.000 (-600 unità nel Lazio) e nel Mezzogiorno a quasi 1.600 (-800 unità in Campania). Il costo annuo stimato per il personale sarebbe di quasi 589 milioni di euro: queste risorse sarebbero utilizzate per il 40% dalle regioni del Nord (238 milioni), per una quota del 40% da quelle del Mezzogiorno (237 milioni) e per il 20% da quelle del Centro (114 milioni).



Figura 1 – Stima del numero di operatori dei centri per l’impiego necessari per l’erogazione di alcuni tra i principali servizi previsti dal d.lgs. 150/2015 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive), per ripartizione
Fonte: Italia Lavoro
 

La stima non tiene conto della nuova platea costituita dai percettori delle misure contro la povertà (circa un milione) ed è probabile che il numero degli operatori necessari per erogare tutti i servizi aumenti almeno a 20 mila unità, che corrisponde al numero degli addetti dei servizi pubblici per l’impiego della Spagna, che è il più basso tra i grandi paesi dell’Unione Europea, dopo l’Italia. In tal caso la spesa per il personale, che rappresenta la quasi totalità dei costi dei Cpi, aumenterebbe a circa 800 milioni l’anno.

Senza un intervento sui servizi per l’impiego che abbia come obiettivo di adeguare in modo sostanzioso il numero dei loro operatori e di rafforzare, nel contempo, la loro capacità d’intermediare la domanda e l’offerta di lavoro e di ridurre i tempi di collocamento dei beneficiari delle prestazioni, la nuova legge per il contrasto alla povertà rischia di ridursi alla sola erogazione delle misure assistenziali passive, per l’impossibilità di offrire servizi per l’inclusione attiva, e si forniranno alibi alle regioni, in questo caso giustificati, per disapplicare la coraggiosa riforma dei servizi pubblici per l’impiego e delle politiche attive.

Un intervento dell’ordine di 800 milioni per rendere più efficaci ed efficienti i centri per l’impiego e per fornire loro le risorse umane indispensabili per attuate il Jobs Act e la nuova legge contro la povertà è sostenibile, anche senza nuovi oneri a carico della finanza pubblica: una quota aggiuntiva delle risorse del fondo sociale europeo, spesso inutilizzate, potrebbe essere dirottata verso il “PON azioni di sistema” gestito dal Ministero del lavoro, per finanziare progetti di potenziamento dei centri per l’impiego, anche con l’affiancamento on the job nell’erogazione dei servizi di politica attiva da parte di un congruo numero di operatori specializzati, come del resto già accade da anni con l’Azione di sistema Welfare to Work per le politiche di reimpiego, realizzata con l’assistenza tecnica di Italia Lavoro.


Riferimenti

1 Nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente) – Fonte: Istat, La povertà in Italia, 2015.
2 Attualmente in Europa solo il nostro paese, insieme alla Grecia, è privo di una misura nazionale universalistica rivolta ai milioni di persone che versano in povertà assoluta.
3 Italia Lavoro, I beneficiari di ammortizzatori sociali, la domanda di professioni delle imprese, le transizioni di chi ha perso il lavoro e le dinamiche dei giovani Neet: Italia, Mimeo, dicembre 2015, pp. 25-27.

 

Questo articolo è stato pubblicato anche su #STRADEBLOG, il primo blog ospitato sul notiziario di un’agenzia di stampa, curato da Strade.