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Si avvicinano le elezioni nel Regno Unito e si accende il dibattito pubblico sulle proposte dei candidati. Al centro dell’attenzione nelle prossime due settimane ci saranno soprattutto le politiche sociali, che andranno inevitabilmente ad influenzare il modello di welfare, le condizioni dei cittadini e, di conseguenza, la posizione del Paese in Europa. Dalla casa all’immigrazione, dall’austerity alla Big Society, sono diverse le questioni "calde" che il futuro Governo dovrà affrontare dopo l’insediamento.


Il welfare inglese tra austerity e riforme

Le politiche di welfare contano molto in queste elezioni. Per cominciare, nel 2013 il governo inglese ha attuato una serie di riforme in materia sociale, alcune delle quali restano incomplete o necessitano di aggiustamenti, e della cui sorte dovrà decidere appunto il futuro governo. Tra le più importanti, l’istituzione di un tetto massimo di 26.000 sterline l’anno all’ammontare complessivo di benefits esigibili e l’introduzione dell’Universal Credit, che gradualmente, entro il 2017, dovrebbe raggruppare sei dei preesistenti strumenti di welfare (Jobseeker’s Allowance, Housing Benefit, Working Tax Credit, Child Tax Credit, Employment and Support Allowance e Income Support) in un’unica misura. Il futuro governo dovrà inoltre decidere come gestire la crescita della spesa sociale. Lo scorso anno infatti circa il 29% della spesa pubblica è stato destinato alla spesa sociale che, secondo l’Office for Budget Responsibility, dovrebbe salire da 210,1 miliardi di sterline nel 2013-2014 a 236,3 miliardi nel 2018-2019. Tuttavia, se considerata invece come percentuale del PIL – che si stima crescerà nei prossimi anni – dovrebbe scendere dal 12,8% del 2013-2014 all’11,6% nel 2018-2019 (figura 1).

Figura 1 – Spesa per politiche di welfare nel Regno Unito (in miliardi di sterline e come percentuale del PIL)
Fonte: Office for Budget Responsibility, 2014.

Anche il Regno Unito, quindi, si trova a dover decidere se perseguire la strada dell’austerity e dei tagli alla spesa pubblica oppure se limitare i tagli cercando di fare leva sulla crescita. Per quanto riguarda, invece, la ricalibratura tra comparti di spesa, vediamo come anche Oltremanica il comparto pensioni assorba la maggior parte delle risorse – sebbene in maniera molto meno squilibrata rispetto al caso italiano – e come l’andamento delle voci di spesa rifletta il trend generale dell’economia (Figura 2).
 

Figura 2 – Spesa sociale per funzione (1983-2019)

Fonte: Office for Budget Responsibility, 2014.
 

Housing e spesa pubblica

Uno dei temi più caldi è quello della casa. Nel Regno Unito ci sono troppe poche case – e troppe poche ad un costo accessibile – per soddisfare la domanda di una popolazione in crescita. L’aumento dei costi delle abitazioni avvenuto negli ultimi anni ha reso impossibile, soprattutto per i giovani (adulti) e per le persone con redditi modesti acquistare una casa, spingendo una fetta crescente di popolazione – la percentuale più alta negli ultimi 30 anni – ad affittare alloggi privati a un costo mediamente doppio rispetto agli affitti sociali per alloggi non sempre di condizioni adeguate, soprattutto per chi ha figli.

Per risolvere il problema David Cameron ha annunciato di volere rilanciare il “right to buy”, istituito nel 1979 da Margaret Thatcher, che consente agli affittuari di un alloggio di proprietà municipale di acquistare tale alloggio a prezzo scontato, con valori variabili a seconda della tipologia. In particolare, il partito del premier vorrebbe estendere tale diritto agli affittuari delle Housing Association – organizzazioni non profit private che sono tra i maggiori proprietari di alloggi nel Regno Unito -, per un totale di circa 1,3 milioni di case ad affitti sussidiati. Così facendo, si andrebbe ad aumentare il numero di alloggi disponibili e a incentivare la costruzione di nuove abitazioni da realizzarsi attraverso i proventi derivanti dalle vendite.

La proposta del leader conservatore ha sollevato polemiche tra gli oppositori e parte dell’opinione pubblica. Il right to buy infatti, se da una parte ha portato alla vendita di circa 2 milioni di appartamenti e case, incrementando del 15% la percentuale di alloggi di proprietà, dall’altra è tra le politiche thatcheriane più contestate poichè ritenuto responsabile di aver contribuito allo sfaldamento della società inglese e al peggioramento delle condizioni di vita della working class. Se nel 1979, il 42% della popolazione viveva nelle council houses, case di proprietà comunale, tale percentuale è scesa oggi al 12%, a cui va aggiunto un 6% che vive in affitto in abitazione appartenenti alle Social Housing Association.

La dismissione del patrimonio pubblico avrebbe quindi negli anni acuito la questione abitativa perché molti degli alloggi venduti non sono stati “rimpiazzati” da nuove costruzioni – la National Housing Federation riporta che meno della metà delle case vendute dal 2012 sono state sostituite – e i proventi della vendita delle council houses sono stati usati perlopiù per saldare i debiti municipali anziché essere investiti in politiche per la casa. Inoltre, molti di coloro che hanno acquistato case a costo ridotto hanno negli anni successivi potuto beneficiare della crescita del mercato immobiliare riaffittandole nel mercato privato, contribuendo ad un ulteriore innalzamento dei costi per gli affittuari. La vendita massiccia di alloggi in alcune zone avrebbe infine determinato un cambiamento nella composizione sociale dei quartieri prima popolari – fino alla gentrificazione di intere aree – minandone il senso di appartenenza alla comunità locale.

Per tutte queste ragioni sono state proposte dai partiti di opposizione strade alternative. Per i Laburisti e per i Lib Dems si tratterebbe piuttosto di incentivare la costruzione di nuove case, soprattutto nelle aree industriali dismesse: ben 200.000 unità per anno fino al 2020 per i primi e almeno 30.000 per i secondi. Infine, la proposta dell’Ukip vedrebbe nel contenimento dell’immigrazione e nel dare priorità ai cittadini britannici nell’assegnazione degli housing benefits la soluzione al problema della carenza di alloggi.


Welfare e immigrazione

Altro tema caldo è quello dell’immigrazione, peraltro già al centro del dibattito pubblico da mesi, stante il grandissimo afflusso di immigrati – il cui numero nel 2014 ha toccato il suo massimo storico con 298 mila unità -, e in particolare di cittadini comunitari, ai quali l’ordinamento europeo riconosce il diritto di soggiornare liberamente nel Paese. La questione dell’immigrazione è strettamente collegata al welfare, poiché molti individuano nella concessione dei welfare benefits ai cittadini non britannici una delle principali cause dell’incremento della spesa pubblica. Da qui le numerose proposte, non solo di limitare l’afflusso di immigrati quanto anche di restringere le condizioni per accedere ai benefits. Se sono note le posizioni più estremiste dell’Ukip – che lasciando l’Unione Europea risolverebbe il problema alla radice -, anche lo stesso Cameron ha più volte indicato la volontà di dare un giro di vite soprattutto in materia di housing, sanità e sussidi disoccupazione, e ha annunciato che in caso di vittoria indirà un referendum sull’uscita dalla UE.


Il ritorno della Big Society

Il premier Cameron ha anche rilanciato uno dei cavalli di battaglia delle elezioni precedenti, la Big Society, che si pone come soluzione tra l’eccessiva concentrazione di potere nello Stato e lo strapotere del mercato. La Big Society rappresenta un modello di società nella quale i singoli individui, riuniti in associazioni, diventano i destinatari di una profonda decentralizzazione politica ed economica, gestendo in prima persona i servizi pubblici. Nonostante l’attenzione che la proposta aveva ricevuto nella precedente campagna elettorale, negli anni successivi era di fatto passata in secondo piano nell’azione di governo rispetto ad altre questioni, come appunto la riforma della spesa pubblica e dei welfare benefits. Ora il candidato dei Tories ha annunciato di riportarla al centro dell’agenda, proponendo – se rieletto – per prima cosa di riconoscere ai dipendenti pubblici e ai lavoratori delle aziende composte da almeno 250 dipendenti il diritto a tre giorni di permesso retribuito per dedicarsi ad attività di volontariato.

Indipendentemente da quello che sarà l’esito delle elezioni, il dibattito in corso conferma la centralità delle politiche sociali nella vita politica di una nazione, non solo in un modello di welfare come quello italiano, ma anche in un modello di welfare liberale come quello britannico. E’ anche attraverso queste politiche, infatti, che il futuro governo cercherà di assorbire gli effetti delle nuove pressioni demografiche, sociali ed economiche e orientare la posizione del Paese in Europa.

 

Riferimenti

Policy guide: Where the parties stand, BBC News

Welfare and pension policies: General Election 2015 and where each party stand, The Telegraph, 28 marzo 2015

Welfare Trends Report, Office for Budget Responsibility, Ottobre 2014 

Even Thatcher Couldn’t Fix U.K.’s Housing Woes, Bloomberg View, 15 aprile 2015

Safe as Houses, The Guardian, 30 settembre 2008

Conservative manifesto to offer 1.3m families right to buy housing association homes, The Guardian, 14 aprile 2015 

Big Society: Cameron ci crede ancora, Vita.it, 15 aprile 2015


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