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Lo scorso dicembre, l’Emilia Romagna ha introdotto il “Reddito di Solidarietà” (Res), una misura di contrasto alla povertà di carattere regionale destinata a quanti sono esclusi dalla misura nazionale di “Sostegno all’inclusione attiva” (Sia). Il Sia si rivolge infatti ai nuclei in cui è presente un minore, un disabile o una donna in stato di gravidanza accertata e, non prevedendo questi requisiti, il Res lo rafforza in chiave universalistica.

Il Res (in linea con il Sia) consiste in un sostegno economico erogato nell’ambito di un progetto di attivazione sociale e di inserimento lavorativo. In particolare, i nuclei beneficiari riceveranno un trasferimento economico pari a un massimo di 400 euro mensili per un periodo non superiore a 12 mesi. Entrambe le misure si rivolgono a nuclei con Isee inferiore o uguale a 3.000 euro.

Delle caratteristiche del Res e dell’integrazione con il Sia ne abbiamo parlato con Elisabetta Gualmini, Docente di scienza politica dell’Università di Bologna e attualmente Vicepresidente e Assessore alle politiche di welfare e politiche abitative della Regione Emilia Romagna.

Quali sono gli obiettivi del Res e com’è nata l’idea di istituire questa misura?

L’obiettivo è quello di dare una risposta concreta ai nuclei familiari con e senza figli che si trovano in condizioni di povertà assoluta. Abbiamo voluto integrare gli strumenti nazionali, e in particolare il SIA (sostegno per l’inclusione attiva), che è però esclusivamente rivolto a famiglie con minori, permettendo l’erogazione anche ad anziani soli, o nuclei familiari senza figli in una direzione di maggiore universalità.

L’istituzione del Res è stata preceduta da un’analisi relativa ai potenziali beneficiari. Com’è nata l’esigenza di disporre di questi dati e quali sono le evidenze più interessanti che sono emerse?

Abbiamo affidato a esperti del settore, e in particolare a economisti dell’Università di Modena, la formulazione di stime e proiezioni sulla popolazione povera dell’ER. Il prof. Massimo Baldini con i suoi collaboratori ci ha fornito i numeri relativi alla popolazione in povertà estrema. Alla fine sono state individuate circa 65.000 famiglie con reddito medio annuo pari a 6.300 euro. Questo è il nostro target di riferimento e con il Res partiremo a coinvolgerne circa la metà (30 mila nuclei).

Può spiegarci con quali risorse sarà finanziato il Res? Si tratta di finanziamenti di natura strutturale? Le risorse provengono esclusivamente dal bilancio regionale o sono previste altre forme di finanziamento?

Il Res sarà finanziato solo da risorse proprie regionali, 35 milioni all’anno, stanziati in bilancio in modo strutturale (cioè fino alla fine della legislatura). Ci sono però altre risorse per la lotta alla povertà, circa 37 milioni all’anno che provengono dallo Stato, destinate a finanziare il SIA, quel tipo di sussidio che è destinato solo a famiglie con minori. Quindi nel complesso per le politiche contro l’indigenza parliamo di oltre 70 milioni all’anno.

In che modo la Regione supporterà il raccordo fra gli strumenti nazionali (Sia ora e Rei in futuro) e il Res?

La legge regionale appena approvata sul RES (24/2016) e il Regolamento attuativo prevedono già un raccordo tra Res e SIA. La presa in carico del cittadino è unica, presso i servizi sociali, e il modulo da compilare è unico. Il cittadino non sa quale strumento esattamente avrà, perché l’erogazione monetaria avviene nello stesso modo, tramite una carta acquisti (un bancomat) ricaricato ogni due mesi. Il raccordo è dunque stretto per evitare che i nostri Comuni facciano fatica e sprechino tempo e risorse nel gestire operativamente gli strumenti.

A livello di ambito, come funzionerà la presa in carico degli utenti?

La presa in carico avviene presso i servizi sociali, sia per il SIA che per il RES. Il Res partirà tra pochi mesi e stimiamo che il primo ciclo di erogazioni vada a circa 30 mila famiglie. I progetti personalizzati organizzati dai Comuni, centri per l’impiego e terzo settore saranno necessariamente diversi nei contenuti perché disegnati sulle esigenze dei beneficiari (anziani o bambini, donne o uomini, etc.).

La Regione Emilia Romagna ha supportato gli ambiti nella predisposizione dei progetti necessari per accedere alle risorse del FSE (PON – Inclusione) nell’ambito dell’implementazione del Sia? Se sì, in che modo?

La Regione da sempre sostiene gli enti locali nella predisposizione dei progetti per accedere alle risorse comunitarie. Dal PON, gli enti locali hanno ricevuto risorse importanti per assumere personale a tempo determinato e per utilizzare servizi esterni sempre intorno al tema della gestione delle misure contro la povertà.

Tenendo conto degli strumenti messi in campo (Sia e in futuro Rei a livello nazionale e Res regionale), per i prossimi anni, che ruolo immagina per la Regione Emilia-Romagna nell’ambito della governance delle politiche di contrasto alla povertà?

La Regione ha già e continuerà ad avere un ruolo di primo piano nella gestione di queste misure; l’elaborazione di una politica così innovativa come il RES speriamo diventi anche un traino per altre regioni e per il livello nazionale.