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Caritas Italiana ha pubblicato il Primo Rapporto di valutazione sull’impatto del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) nell’ambito dei servizi Caritas. Il SIA è una misura di contrasto alla povertà nata nel 2016 e rivolta a famiglie disagiate in cui è presente un minore, un figlio in condizioni di disabilità o una donna incinta. Accanto al riconoscimento di un contributo economico, la misura prevede l’adesione dei beneficiari a un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa.

Il Rapporto, curato da Walter Nanni e Vera Pellegrino, si propone di descrivere l’impatto del SIA sulle persone e le famiglie beneficiarie e di raccontare il complesso sistema creatosi sul territorio – in particolare tra servizi sociali pubblici e servizi Caritas – al fine di garantire l’implementazione della misura. Dal rapporto emergono anche alcune criticità del SIA. Il periodo in cui è stata condotta la ricerca ha coinciso con il passaggio dal SIA al Reddito di Inclusione (REI). Il REI, che è ora la misura strutturale di contrasto alla povertà a livello nazionale, ricalca parzialmente il SIA (in particolare per alcuni aspetti procedurali e di definizione dei criteri di accesso) e ha cercato di porre rimedio ad alcune delle criticità che lo caratterizzavano e che sono state individuate anche nell’ambito della ricerca di Caritas. Come sottolineano i curatori, il rapporto tiene conto dell’introduzione del REI: per questo sono state omesse “quelle valutazioni tecniche segnalate dagli operatori che facevano riferimento ad aspetti operativi e amministrativi del Sia, ormai superati dall’avvento della nuova misura” (p. 3).

Il disegno di ricerca

L’indagine è stata realizzata nei primi mesi del 2017 in cinque Regioni italiane (Liguria, Toscana, Abruzzo, Molise, Sicilia) e si proponeva, da un lato, di verificare la ricaduta del Sia sulle persone/famiglie prese in carico dai Centri di Ascolto Caritas e, dall’altro, di approfondire, nell’ambito dell’implementazione della misura, la collaborazione tra il sistema dei servizi e il “sistema Caritas”. Per rispondere a queste domande, l’analisi si è concentrata su tre dimensioni differenti: livello ecclesiale locale (relativo all’attività delle Caritas diocesane), livello istituzionale (comprendente i servizi sociali pubblici) e livello personale (riferito agli utenti Caritas beneficiari del Sia).

Le tre dimensioni individuate sono state approfondite con due metodi di ricerca. In una prima fase – di approccio quantitativo – è stato realizzato un flash auditing che aveva lo scopo di raccogliere informazioni sul primo quadrimestre di attuazione della misura e sull’effettivo coinvolgimento delle Caritas diocesane in questa prima fase (in termini di comunicazione, sensibilizzazione, collaborazione con altri soggetti del territorio e formazione agli operatori). La rilevazione è consistita in un questionario inviato ai direttori di tutte le 218 Caritas diocesane italiane. L’analisi quantitativa ha potuto contare sulle risposte fornite da 182 Caritas (l’83,4%).

Nella seconda fase, di taglio qualitativo, sono state approfondite le dimensioni di ricerca individuate (efficacia della misura, creazione di reti sul territorio, eventuali spunti di miglioramento della misura), coerentemente coi livelli di ricerca stabiliti (ecclesiale locale, istituzionale e personale). Ottantotto utenti dei centri Caritas beneficiari del SIA sono stati coinvolti in altrettante interviste volte ad approfondire l’efficacia percepita e le aspettative sulla misura. A livello istituzionale, più di 20 assistenti sociali dipendenti di Comuni, INPS e Centri per l’Impiego sono stati coinvolti in 4 focus group realizzati in altrettante realtà comunali. Sono infine stati realizzati 6 focus group volti ad approfondire la dimensione ecclesiale locale attraverso la partecipazione di 43 operatori di Centri d’Ascolto Caritas attivi presso 29 diocesi italiane.

La fase iniziale del SIA e il coinvolgimento del sistema Caritas

Un primo dato emerso dal flash auditing è la comunicazione avvenuta sui territori relativamente al SIA e rivolta ai potenziali beneficiari della misura. Il questionario rivolto ai direttori delle Caritas diocesane ha permesso di rilevare i canali di comunicazione anche dei Comuni, che nel 78% dei casi hanno informato pubblicamente la cittadinanza dell’avvio del SIA. Il Rapporto individua una correlazione positiva tra la diffusione di campagne informative ad opera degli enti pubblici e degli attori Caritas: laddove i soggetti pubblici hanno informato con maggiore attenzione la cittadinanza si è registrata anche un’azione informativa più forte da parte di Caritas. Per quanto riguarda l’informazione all’interno di Caritas, essa è avvenuta principalmente a livello diocesano (nel 78,9% dei casi) e meno frequentemente a livello parrocchiale (55,9%). La maggior diffusione di azioni informative a livello diocesano è riconducibile al fatto che è questo livello che, nella maggior parte dei contesti Caritas, intrattiene relazioni istituzionali con le amministrazioni comunali. Tuttavia, come sottolineano gli autori, un’informazione più capillare (quindi a livello parrocchiale) probabilmente “consentirebbe di ampliare la platea dei potenziali beneficiari della misura” (p. 6).

Un altro dato rilevato dall’indagine quantitativa è legato alla formazione degli operatori Caritas rispetto al SIA. La partecipazione alle occasioni formative proposte da parte della Caritas non sono state sufficientemente sfruttate (v. figura 1).

Figura 1. Partecipazione degli operatori Caritas a momenti di formazione sul Sia (% direttori diocesani)

Fonte: Nanni e Pellegrino 2018.

Alla scarsa partecipazione a percorsi formativi si accompagna inoltre un riconoscimento della insufficiente preparazione degli operatori: secondo i questionari compilati dai direttori delle Caritas diocesane, la formazione degli operatori Caritas sul SIA è “abbastanza adeguata” nel 44,3% dei casi e “poco adeguata” nel 47,7% dei casi.

Un’ultima informazione rilevata dal flash auditing è relativa all’attivazione di collaborazioni e sinergie a livello locale nei primissimi mesi di implementazione del SIA. Il decreto di attuazione della misura prevede la possibilità di includere nelle équipe multidisciplinari responsabili dei progetti personalizzati dei beneficiari anche soggetti del Terzo Settore attivi nell’ambito del contrasto alla povertà. Alla chiusura di questa prima fase dell’indagine (giugno 2017) solo il 13,6% delle Caritas diocesane erano state coinvolte in équipe multidisciplinari, con differenze significative a livello territoriale: nelle regioni del Nord sono state attivate collaborazioni di questo tipo con gli enti pubblici nel 22,2% dei casi, nell’11,1% nelle regioni del Mezzogiorno e solo nel 7,3% dei casi nel Centro della penisola.

La dimensione locale ecclesiale del SIA

Nel corso di sei focus group realizzati nelle cinque regioni oggetto di indagine sono state rilevate le opinioni degli operatori Caritas sull’efficacia del SIA, sulla progettazione dei percorsi personalizzati di attivazione sociale e sulle strategie messe in campo localmente per costruire una rete di supporto per i beneficiari della misura.

I focus group, realizzati a circa sei mesi dall’attivazione del SIA, hanno innanzitutto fotografato la situazione dei progetti personalizzati di inserimento sociale che, secondo il decreto istitutivo del SIA, devono obbligatoriamente accompagnare l’erogazione del contributo economico. Secondo gli operatori coinvolti nei focus, l’erogazione economica è in corso ma è sostanzialmente sganciata dal percorso di inserimento. In particolare, nella maggior parte dei casi, non è prevista alcuna forma di attivazione dei beneficiari. In queste situazioni i beneficiari sono molto spesso utenti già noti ai servizi, che quindi potrebbero già essere coinvolti in percorsi di attivazione previsti da altri “rami” del welfare che corrono parallelamente al SIA. Certamente la rilevazione di questo dato pone con forza la questione dell’armonizzazione tra interventi e trasferimenti predisposti da soggetti pubblici nazionali e locali nel campo del contrasto alla povertà. In moltissimi casi, al momento dell’indagine, i progetti erano previsti ma ancora in fase di elaborazione. In alcune realtà comunali, infine, la ricerca ha evidenziato la presenza di progetti personalizzati già in corso ma con alcune anomalie, non in linea con il disegno della misura. Rientrano in questa tipologia i progetti che propongono attività standardizzate (non personalizzate) o si limitano a indirizzare i beneficiari verso altri tipi di uffici pubblici (tra cui il Centro per l’Impiego, che dovrebbe invece essere un attore fondamentale della rete di intervento). Un’altra criticità emersa relativamente al percorso di attivazione è il gap temporale spesso registrato tra l’erogazione monetaria e l’inizio del progetto: il fatto che la persona beneficiaria della misura sia coinvolta attivamente in percorsi di welfare generativo solo diversi mesi dopo l’inizio dell’erogazione rischia di sganciare ulteriormente questi due aspetti fondamentali del SIA, vanificando l’innovatività di cui questa misura è portatrice. I focus group hanno confermato infine lo scarsissimo coinvolgimento della rete Caritas nell’attivazione dei progetti evidenziato anche dall’analisi quantitativa. Il livello di cooperazione tra Caritas ed enti pubblici appare peraltro fortemente condizionato da esperienze e collaborazioni pregresse.

I focus group hanno infine permesso di raccogliere una prima valutazione generale del SIA da parte degli operatori Caritas. L’impianto organizzativo della misura e l’avvio di progetti personalizzati non in linea con il mandato legislativo sono stati indicati come aspetti fortemente negativi. Tuttavia, come sottolineano gli stessi autori, tale considerazione potrebbe essere legata al fatto che i focus group siano stati realizzati nel primo semestre di implementazione della misura, caratterizzato da incertezze e confusione tipiche dell’avvio di una politica pubblica (per di più sperimentale). Mentre alcune criticità individuate appaiono di non immediata soluzione – come le carenze strutturali dei servizi territoriali – molti aspetti negativi sono stati corretti in corso d’opera con modifiche all’impianto del SIA e con l’introduzione del REI. Questa capacità del sistema di ritornare sui suoi passi e promuovere cambiamenti è stata segnalata positivamente dagli operatori Caritas. Altro elemento di valore è l’approccio stesso del SIA che – almeno nelle intenzioni del legislatore – punta a coinvolgere la persona in un percorso di attivazione e responsabilizzazione finora quasi inedito nel panorama delle politiche pubbliche di contrasto alla povertà in Italia.

La dimensione istituzionale del SIA

Questa dimensione è stata approfondita attraverso la realizzazione di quattro focus group in altrettanti comuni appartenenti allle Regioni oggetto della ricerca (Palermo, Sulmona, Campobasso e Savona). Gli incontri hanno visto protagoniste le équipe multidisciplinari, che predispongono insieme ai beneficiari il progetto personalizzato e rappresentano quindi il nucleo operativo della misura.

I focus group, che anche in questo caso sono stati realizzati nel primo semestre di implementazione del SIA, si sono concentrati sullo stato di attuazione della misura e sulle criticità riscontrate. Come nel caso degli operatori Caritas, la filosofia alla base della misura è condivisa da tutti i partecipanti ai gruppi: l’integrazione tra servizi diversi, l’attivazione del beneficiario e il suo inserimento in un percorso di “restituzione” alla comunità, l’idea di agganciare un trasferimento economico a interventi di tipo promozionale sono individuati come aspetti fortemente positivi. Allo stesso tempo gli operatori registrano però un gap tra i contenuti della legge e la prassi operativa. In particolare i riferimenti normativi non offrono spunti concreti per l’implementazione della misura a livello dei servizi, soprattutto dal punto di vista burocratico, perciò ogni territorio si è organizzato diversamente coinvolgendo servizi, professionalità e livelli istituzionali differenti. La mancanza di chiare responsabilità procedurali ha reso difficoltoso l’avvio della misura e ne complica la gestione ordinaria, in particolare relativamente alla capacità dei servizi di seguire l’iter e ottenere informazioni aggiornate sullo stato delle domande inoltrate; anche la comunicazione con i potenziali beneficiari risente di questa complessità, che spesso genera false aspettative e/o conflittualità nei rapporti con i servizi.

Anche gli assistenti sociali dei servizi pubblici, come gli operatori Caritas, sottolineano la mancata valorizzazione dei progetti personalizzati. Questi percorsi, che rappresentano in teoria la cifra distintiva del SIA, sono stati lasciati in secondo piano anche a causa dell’urgenza di stabilire prassi burocratiche e operative necessarie per l’avvio della misura. Al mancato sviluppo dello strumento del progetto contribuisce probabilmente anche il fatto che in nessuno dei comuni coinvolti nel focus group erano ancora state istituite équipe stabili, interdisciplinari e multidimensionali (almeno al momento della rilevazione).

Rispetto alla capacità del SIA di intercettare “nuove” forme di povertà, le risposte degli operatori non sono univoche: in alcuni territori beneficiano del SIA famiglie e persone già conosciute da tempo dai servizi, in altri quasi tutti i beneficiari sono invece nuclei familiari “non problematici” che si sono trovati in temporanea difficoltà a causa di eventi imprevisti (perdita del lavoro, problemi di salute, ecc.). Le impressioni sono variegate anche rispetto alla capacità della misura di offrire un supporto concreto per l’uscita dalla situazione di bisogno e non solo un sostegno economico: come emerso anche dai focus group con operatori Caritas, il SIA è sicuramente percepito come una “boccata d’aria” utile per far fronte a spese quotidiane. Come sottolineano gli autori, tuttavia, una valutazione più approfondita dell’impatto del trasferimento economico e dei progetti personalizzati potrà essere realizzata solo più avanti nel tempo.

La dimensione personale del SIA

La dimensione personale del SIA è stata investigata attraverso la realizzazione di 88 interviste in profondità ad altrettanti beneficiari della misura presi in carico da Centri d’Ascolto Caritas. Un primo aspetto discusso nel corso dei colloqui è la descrizione delle principali caratteristiche dei beneficiari della misura. Le famiglie intervistate sono prevalentemente numerose (3 o più figli) e, nella metà dei casi, monogenitoriali. Si tratta di famiglie in cui molto spesso le donne separate o divorziate si devono fare carico da sole delle responsabilità di cura dei figli e di provvedere al sostentamento economico della famiglia. Se entrambi i genitori sono presenti quasi sempre almeno uno dei due lavora ma, con il suo reddito, non riesce a coprire le esigenze basilari del nucleo familiare. Inoltre, è molto diffuso il lavoro irregolare che, se da un lato non rappresenta alcuna garanzia di un reddito stabile e del rispetto di diritti e tutele per i lavoratori, dall’altro costituisce una forma di attivazione talvolta imprescindibile per far fronte – in maniera emergenziale e tutt’altro che strutturale – alle esigenze familiari. Un nucleo su tre coinvolti nell’indagine è italiano, mentre quelli di origine straniera presentano tratti comuni: si tratta di nuclei in cui un genitore – spesso il padre – è arrivato in Italia negli anni Novanta per migliorare la propria condizione economica e, avendo raggiunto una buona stabilità, ha chiesto il ricongiungimento familiare. La stabilità è però venuta meno con l’avvento della crisi economico-finanziaria, che ha inciso pesantemente sulle opportunità di occupazione dei lavoratori di origine straniera. Un ultimo elemento rilevato è la diffusione della povertà educativa minorile, che determina una significativa presenza del fenomeno dell’abbandono scolastico – anche in età inferiore ai 16 anni (età coincidente con l’obbligo formativo) – all’interno dei nuclei familiari coinvolti nell’indagine.

Le famiglie sono poi state coinvolte in un particolare lavoro di costruzione della percezione della propria condizione di povertà, attraverso l’utilizzo di immagini. A seconda delle immagini scelte per meglio rappresentarsi, è stato possibile suddividere gli intervistati in due gruppi. L’insieme più numeroso, quasi due terzi degli intervistati, è quello degli “sconfortati”. Queste persone comunicano la sofferenza di non riuscire a liberarsi dalla gabbia della povertà̀. Sono frustate, si sentono impotenti rispetto alla propria condizione e sopraffatte dalla preoccupazione e della fatica di gestire la quotidianità̀. Oltre un terzo è ricondotto però al gruppo degli “speranzosi”, che riescono a percepire una speranza, una possibilità di riscatto e di uscita dalla propria condizione di povertà. A queste si accompagna una forte determinazione personale nel voler superare lo stato di povertà.

Un ultimo elemento approfondito è la valutazione del SIA. A differenza di quanto emerso dai focus group con operatori Caritas e dei servizi sociali, i beneficiari della misura individuano molti aspetti positivi e meno criticità. Sia per gli “speranzosi” sia per gli “sconfortati” l’opportunità offerta dalla misura rappresenta un aiuto concreto e regolare che li sostiene e allevia in parte le preoccupazioni quotidiane. Costituisce anche un elemento di speranza e di riconoscimento di dignità. Gli aspetti negativi comunque compaiono anche nelle interviste ai beneficiari: oltre ad alcune difficoltà tecniche, sono espresse perplessità rispetto all’esiguità del contributo e alla sua temporaneità (la misura sperimentale non aveva tempi di durata e conclusione certi). Sono segnalati anche ritardi nell’avvio della misura e nell’erogazione dei contributi economici e, allo stesso tempo, inefficacia e ritardi nella progettazione e attivazione dei percorsi personalizzati.

Considerazioni conclusive

La ricerca ha permesso di evidenziare alcune criticità nell’implementazione del SIA. Un primo elemento fondamentale riguarda la comunicazione che, pur avendo registrato una buona attivazione degli enti locali e delle Caritas, dovrebbe essere ulteriormente implementata e integrata. L’integrazione tra attori non deve ovviamente limitarsi all’attività informativa, ma dovrà caratterizzare ogni intervento legato al SIA. Appare infatti imprescindibile la piena collaborazione tra questi soggetti nella strutturazione della rete di implementazione della misura e poi, concretamente, nella progettazione e nell’avvio dei progetti personalizzati. Nel coinvolgimento di tutti gli attori pubblici e privati del territorio dovrà essere riservata una particolare attenzione alla formazione degli operatori.

La ricerca ha inoltre evidenziato alcune criticità della misura, per le quali sono suggerite diverse proposte migliorative: allargare la platea dei beneficiari e le possibilità di utilizzo della Carta (abilitandola, ad esempio, all’e-commerce e al prelievo di contanti); garantire ai beneficiari informazioni più̀ chiare e complete, anche grazie a sistemi di comunicazione digitale più efficienti e immediati. La ricerca suggerisce anche di migliorare e potenziare il monitoraggio della misura su tre diverse dimensioni: reddito e condizioni economiche reali dei richiedenti; livello di partecipazione dei beneficiari alle diverse fasi della misura; reale andamento dei progetti (anche per evitare la diffusione di progetti che non rispondono ai requisiti stabiliti dalla norma).

Riferimenti

Nanni W. e Pellegrino V. (a cura di) (2018), Primo Rapporto di valutazione sull’impatto del Sostegno per l’Inclusione Attiva nell’ambito dei servizi Caritas, Roma, Caritas italiana.