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Dopo una lunga e complessa gestazione il Disegno di legge delega per il contrasto alla povertà è stato finalmente approvato. Siamo a una svolta? Si o no? “Ni” è la risposta giusta. Molto infatti dipenderà da quello che prevedrà, nelle prossime settimane, il relativo decreto delegato e il piano triennale di contrasto alla povertà che lo accompagnerà.

Detto questo, attraverso la legge delega per la prima volta l’Italia si è dotata di una misura strutturale di contrasto alla povertà, il Reddito di Inclusione (REI) e, da questo punto di vista, stiamo assistendo a un passaggio storico. Tuttavia rimane da capire se questa misura riuscirà o meno a diventare universale e a raggiungere quindi tutte le persone in condizione di povertà assoluta. In sostanza, se l’obiettivo è che l’Italia (come il resto dei Paesi europei) si doti di una misura di reddito minimo, è necessario che la delega sia il punto di partenza di una politica nazionale che deve ancora svilupparsi e consolidarsi.


Le tappe che hanno portato alla Legge Delega

Se ripercorriamo le varie tappe, è evidente come il primo cambio di passo nel contrasto alla povertà sia stato compiuto nell’autunno del 2015 con la stesura della Legge di Stabilità 2016 (ne abbiamo parlato qui) prevedendo, per la prima volta, finanziamenti strutturali (ovvero stabilmente iscritti nel registro di finanza pubblica) in materia di povertà, oltre all’emanazione di una Legge Delega per la definizione di una misura unica di contrasto.

Da lì in poi però è stato un procedere a strattoni, l’allora Governo Renzi ha lavorato al DDL delega ma non alla definizione di un piano pluriennale di contrasto alla povertà, non prendendo quindi impegni sull’estensione in chiave universalistica della misura prevista dal DDL. Questo nonostante le pressioni provenienti dall’Alleanza contro la povertà (un cartello di soggetti uniti dal comune obiettivo di promuovere migliori politiche di contrasto alla povertà) che, a più riprese, ha sollecitato affinché la riforma fosse completata attraverso l’approvazione di un piano pluriennale di intervento (ne abbiamo parlato qui).

La caduta del Governo Renzi ha poi rischiato di lasciare il DDL delega su un binario morto (ce ne siamo occupati qui) e anche in questo caso l’Alleanza ha richiamato con insistenza la necessità di non far naufragare quanto fatto fino a quel momento, lanciando l’appello “Perché far pagare ai poveri le conseguenze dell’instabilità politica? ” dello scorso 28 dicembre (ce ne siamo occupati qui).

Un appello che apparentemente è stato preso seriamente in considerazione dato che l’11 Gennaio 2017 la Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato ha ripreso le audizioni e fissato al 2 febbraio il termine ultimo per presentare gli emendamenti. Fin da subito, tuttavia, è apparso chiaro che l’orientamento prevalente fosse quello di far passare il DDL senza modifiche in modo da arrivare quanto prima al voto dell’aula. Una scelta che non ha mancato di suscitare la perplessità di diverse parti sociali impegnate nel contrasto alla povertà (ce ne siamo occupati qui). E così si è arrivati al 9 marzo, giorno in cui con 138 voti favorevoli, 71 contrari e 23 astenuti l’Assemblea del Senato ha approvato il DDL delega.


Cosa prevede la Legge Delega

L’obiettivo della delega è contrastare la povertà e l’esclusione sociale attraverso l’introduzione di una misura unica nazionale, che è appunto il Reddito di Inclusione. In linea con la prima sperimentazione della Nuova Carta Acquisti e con il Sostegno all’inclusione attiva (partito lo scorso 2 settembre), il REI si articola in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona che devono essere garantiti a livello locale.
 
L’istituzione del REI deve accompagnarsi, in primo luogo, al riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto alla povertà. Queste misure devono appunto essere riassorbite dal REI. Fanno eccezione le prestazioni rivolte alla fascia di popolazione non più in età di attivazione lavorativa, quelle a sostegno della genitorialità e quelle legate alla condizione di disabilità e invalidità del beneficiario.

In secondo luogo, l’introduzione di questa misura deve accompagnarsi al rafforzamento dell’attività di coordinamento degli interventi, al fine di garantire i livelli essenziali delle prestazioni. Il REI si configura infatti come livello essenziale che deve essere garantito uniformemente sull’intero territorio nazionale.

A chi si rivolge il REI
Il REI si rivolge alle persone in povertà assoluta e, in attesa che la misura sia progressivamente estesa, dà precedenza alle famiglie con minori, con disabilità grave, in cui sono presenti donne in stato di gravidanza accertata o persone disoccupate con più di 55 anni di età.  Per regolare l’accesso al REI, è stato previsto il ricorso all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e nel contempo è stata richiamata la necessità di tener conto anche dell’effettivo reddito disponibile e di indicatori relativi alla capacità di spesa.
 
I progetti personalizzati e la parte attiva della misura
La parte attiva della misura si concretizza nella realizzazione di un progetto personalizzato di inclusione predisposto da un’équipe multidisciplinare costituita dagli ambiti territoriali interessati (in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, formazione, politiche abitative, tutela della salute, istruzione) e in linea con principi generalizzati di presa in carico. Tali principi sono basati su: a) una valutazione multidimensionale del bisogno; b) la piena partecipazione dei beneficiari alla predisposizione dei progetti medesimi; c) un’attenta definizione degli obiettivi e un monitoraggio degli esiti valutati periodicamente tramite strumenti di misurazione dell’impatto sociale. Per la realizzazione dei progetti personalizzati è stato previsto il ricorso a risorse provenienti dai fondi strutturali europei.


Cosa rimane da fare secondo l’Alleanza contro la povertà

In una nota esplicativa diffusa lo stesso 9 marzo, l’Alleanza contro la povertà, dopo aver sottolineato che “per la prima volta nella storia del nostro Paese il Parlamento ha definito una reale misura di contrasto alla povertà assoluta”, ha indicato alcuni elementi che devono essere incorporati nel decreto delegato per garantire l’efficacia della misura.

In primo luogo, l’Alleanza ha richiamato la necessità che il fondo povertà sia articolato sulle due componenti del REI: contributi economici e servizi alla persona e che preveda anche per quest’ultimi un finanziamento adeguato. Come detto, al momento, per il potenziamento della rete dei servizi è stato infatti previsto il ricorso a fondi europei che, per loro stessa natura, sono sperimentali.

In secondo luogo, è necessario che siano garantite eque condizioni di accesso al REI attraverso il ricorso all’Isee e sulla base del reddito disponibile. Quest’ultimo, che dovrebbe tener conto dei costi dell’abitare, servirebbe come punto di riferimento per la quantificazione del beneficio economico.

In terzo luogo deve essere garantita l’assistenza tecnica a tutti i territori coinvolti, così da metterli in condizione di costruire adeguati percorsi d’inclusione. Allo stesso scopo è necessario prevedere forme associate di gestione del REI tra i comuni di un medesimo ambito territoriale.

Infine, l’Alleanza sottolinea che deve essere assicurato un incisivo sistema di monitoraggio e valutazione dei servizi, per verificare l’efficacia, la crescita incrementale e la qualità.