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Nelle prossime settimane dovrebbe finalmente concludersi l’iter di approvazione del "Disegno di legge delega in materia di contrasto alla povertà" e, contemporaneamente, il Governo dovrebbe assumere alcune importanti decisioni in merito al Piano nazionale contro la povertà e agli stanziamenti da rendere disponibili nella nuova Legge di Bilancio. L’insieme di questi atti definirà la strategia del Governo per il contrasto alla povertà in Italia nei prossimi anni. In vista di questi importanti appuntamenti la Caritas Italiana che aderisce alla "Alleanza contro la Povertà", per il terzo anno consecutivo ha pubblicato il "Rapporto sulle politiche contro la povertà in Italia" intitolato Non fermiamo la riforma”.

"Il Governo" si legge nel Rapporto (di cui è disponibile anche una sintesi) "ha avuto l’indubbio merito di “scardinare” lo storico disinteresse della politica italiana nei confronti della povertà, ma ora è il tempo delle scelte concrete. Occorre affrontare la sfida di un progetto di welfare dedicato ai più deboli, del percorso per realizzarlo e di come ci immaginiamo le politiche sociali del nostro Paese ora e negli anni a venire". L’Italia infatti è il solo Paese in Europa, insieme alla Grecia (che sta tuttavia cercando di intervenire su questo fronte), privo di una misura nazionale universalistica contro la povertà assoluta, che negli ultimi anni, coincidenti in larga parte con quelli della crisi economica, è aumentata sino ad esplodere. Le persone che si trovano in questa condizione sono salite da 1,8 milioni del 2007 (pari al 3,1% del totale) a 4,6 milioni del 2015 (il 7,6%).

Per far fronte a tutto questo, il Rapporto Caritas – grazie al supporto di studiosi come Cristiano Gori, dell’Università di Trento che è responsabile scientifico del Rapporto, Alessandro Martelli dell’Università di Bologna, Lorenzo Lusignoli del Dipartimento Politiche Sociali della Cisl e Chiara Agostini di Percorsi di Secondo welfare – chiede lo sviluppo di un
Piano pluriennale contro la povertà, connotato dalle caratteristiche suggerite dall’"Alleanza contro la povertà", che incrementi progressivamente le risorse, e quindi l’utenza, arrivando nel 2020 a stanziare i 7 miliardi necessari per rivolgersi al totale della popolazione povera. 

Di seguito proponiamo il capitolo del Rapporto scritto da Chiara Agostini, incentrato su sviluppo e prospettive del disegno di legge delega per il contrasto alla povertà.


Il disegno di legge delega per il contrasto alla povertà: stato dell’arte e prospettive

La legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 28 dicembre 2015; commi 386-390) ha segnato un cambio di passo nel campo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. In particolare, questo intervento normativo ha previsto dei finanziamenti strutturali (e quindi stabilmente iscritti fra gli interventi di finanza pubblica) per questo settore e l’emanazione di uno o più provvedimenti legislativi volti a unificare le prestazioni esistenti e a definire una misura unica di contrasto alla povertà. La legge di stabilità sembra allora aver chiuso la stagione delle sperimentazioni (inaugurata alla fine degli anni novanta) e aperto la possibilità che l’Italia si doti finalmente di una misura strutturale di sostegno al reddito rivolta ai poveri.

Se in passato la questione della povertà (e in particolare l’attuazione del reddito minino) non è mai stata una priorità politica (Gori, Ghetti e Rusmini 2014), oggi essa è oggetto di un’attenzione crescente. Stiamo infatti assistendo al riposizionamento di quegli attori che tradizionalmente si sono mostrati disinteressati o critici rispetto alla possibilità di intervenire in questo settore, attraverso l’introduzione del reddito minimo (Madama e Jessoula, 2015). Oltre alle forze politiche, tale riposizionamento interessa anche la società civile. Non è allora un caso che i recenti cambiamenti siano stati delineati in un contesto di dialogo fra il Governo e, appunto, la società civile.

Fra i vari attori in gioco, l’Alleanza contro la Povertà in Italia sta realizzando un’intensa attività di advocacy contribuendo a mantenere viva l’attenzione sul tema (Agostini, 2015). L’Alleanza, che mette insieme associazioni, terzo settore, sindacati (ma anche comuni e regioni) uniti dall’obiettivo di promuovere il rafforzamento delle politiche di lotta alla povertà, sin dalla sua costituzione (fine 2013) ha aperto un confronto con il Governo. Tale confronto ha caratterizzato anche la fase immediatamente successiva alla presentazione del disegno di legge delega e il passaggio alla Camera.

Nelle pagine che seguono si analizzano i contenuti del “disegno di legge delega al Governo per il contrasto alla povertà, il riordino delle prestazioni e il sistema degli interventi e dei servizi sociali” previsto dalla stessa legge di stabilità 2016 e attualmente in esame al Senato. In particolare, il paragrafo 1 descrive i contenuti dell’attuale versione del disegno di legge delega. Il paragrafo 2 indaga le principali modifiche che sono state approvate durante il passaggio alla Camera e che sono state sostenute dall’Alleanza contro la Povertà in Italia. Il paragrafo 3 analizza le criticità che ancora caratterizzano questo intervento normativo. Delle brevi considerazioni conclusive chiudono il lavoro.


I contenuti del disegno di legge delega

L’8 febbraio 2016 è stato presentato il disegno di legge (A.C. 3594) recante una delega al governo in tema di norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali. Il 14 luglio 2016, la Camera ha approvato il disegno di legge che, il giorno successivo, è stato trasmesso al Senato.

La legge delega mira all’introduzione di misure strutturali di contrasto alla povertà e al riordino della normativa in materia. In particolare, l’obiettivo della delega è quello di introdurre una misura unitaria di lotta alla povertà. Tale misura è stata denominata “Reddito di Inclusione” (REI).
Il disegno di legge delega si compone di un solo articolo suddiviso in nove commi. Il termine previsto per l’emanazione dei decreti attuativi è di sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega.

Finalità della delega

Come detto, l’obiettivo della delega è contrastare la povertà e l’esclusione sociale attraverso l’introduzione di una misura nazionale denominata Reddito di Inclusione (REI). Tale misura si articola in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona da assicurarsi grazie alla rete degli interventi di cui alla legge 328/2000.

Secondo quanto disposto, l’istituzione del REI deve accompagnarsi, in primo luogo, al riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto alla povertà. Fanno eccezione quelle rivolte alla fascia di popolazione anziana (non più in età di attivazione lavorativa), quelle a sostegno della genitorialità e quelle legate alla condizione di disabilità e invalidità del beneficiario. In sostanza, il disegno di legge delega prevede l’assorbimento delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto alla povertà in una misura unica nazionale. In quest’ottica, si prevede il completo esaurimento della Carta Acquisti ordinaria da realizzarsi quando la misura unica di carattere nazionale coprirà le fasce di popolazione attualmente interessate dalla Carta Acquisti ordinaria.

In secondo luogo, l’introduzione di questa misura deve accompagnarsi al rafforzamento dell’attività di coordinamento degli interventi, al fine di garantire (nell’ambito dei principi previsti dalla Legge 328/2000) i livelli essenziali delle prestazioni. Il REI dovrà infatti considerarsi come livello essenziale da garantirsi uniformemente sull’intero territorio nazionale.

L’accesso al REI

Per regolare l’accesso al REI, si prevede il ricorso all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e si richiama la necessità di tener conto anche dell’effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa. Con riferimento alla durata del beneficio economico si prevede la possibilità di rinnovo, subordinata alla verifica del persistere dei requisiti, ai fini del completamento o della ridefinizione del progetto personalizzato, nonché l’individuazione delle cause di sospensione e di decadenza del beneficio.

I progetti personalizzati e la parte attiva della misura

La parte attiva della misura si sostanzia nella definizione e realizzazione di un progetto personalizzato di inclusione che deve essere predisposto da un’équipe multidisciplinare costituita dagli ambiti territoriali interessati (in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, formazione, politiche abitative, tutela della salute, istruzione) e in linea con principi generalizzati di presa in carico. Tali principi sono basati su: a) una valutazione multidimensionale del bisogno; b) la piena partecipazione dei beneficiari alla predisposizione dei progetti medesimi; c) un’attenta definizione degli obiettivi e un monitoraggio degli esiti valutati periodicamente tramite strumenti di misurazione dell’impatto sociale

Per la realizzazione dei progetti personalizzati e, più in generale, per il potenziamento e la qualificazione della presa in carico dei beneficiari, si prevede l’utilizzo delle risorse provenienti dai fondi strutturali europei. Il riferimento è in particolare alle risorse che rientrano nell’Obiettivo Tematico 9. Tali risorse sono esplicitamente dedicate al contrasto alla povertà, alla promozione dell’inclusione e alla lotta a ogni forma di discriminazione.

I progetti personalizzati erano già presenti nel SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva), la misura prevista nella legge di stabilità 2016 e in precedenza sperimentata in dodici comuni con più di 250.000 abitanti. Il decreto interministeriale approvato lo scorso maggio ha reso operativo il SIA in tutto il territorio nazionale. A partire dallo scorso 2 settembre, le persone in possesso dei requisiti previsti possono quindi presentare richiesta al proprio comune.

L’estensione della misura e le risorse

Attraverso la concreta realizzazione di un “Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale” ancora al di là da venire, si dovrebbe render possibile la graduale estensione della misura sia in termini di benefici, sia in termini di beneficiari. La previsione del Piano, contenuta nella delega, rappresenta una novità di rilievo in tema di interventi di contrasto alla povertà. E questo perché il Piano consente, da un lato, di incorporare una prospettiva temporale di medio-lungo periodo, con la graduale estensione della platea dei beneficiari, fino a raggiungere tutta la popolazione in povertà assoluta; dall’altro, di prevedere il progressivo incremento delle risorse stanziate. Questa del Piano è al momento una possibilità che dovrà essere tradotta in realtà, onde evitare il rischio, come già è accaduto in più di un’occasione (si vedano il Piano famiglia, il Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, il Piano Alzheimer), di dare vita a un Piano privo di contenuti applicativi.

In attesa che la misura possa essere estesa in chiave universalistica, precedenza è data alle famiglie con minori, con disabilità grave, in cui sono presenti donne in stato di gravidanza accertata o persone disoccupate con più di 55 anni di età. Il disegno di legge delega chiarisce che l’estensione della misura avverrà sulla base delle risorse che afferiranno al fondo per effetto degli interventi di riordino e attraverso ulteriori provvedimenti legislativi che potranno essere emanati. Inoltre, si chiarisce che le risorse che la legge di stabilità 2016 ha destinato al fondo e che non saranno impegnate nell’esercizio in competenza potranno essere utilizzate in quello successivo.

La governance del sistema

Una serie di novità importanti riguardano poi il sistema della governance. In primo luogo, il disegno di legge delega prevede l’istituzione di un organismo nazionale di coordinamento presieduto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e che vede coinvolte le regioni, le province autonome, le autonomie locali e l’INPS. Questo organismo avrà il compito di favorire l’omogeneità territoriale nell’erogazione delle prestazioni e di definire le linee guida per gli interventi.

Si tratta di una novità rilevante se si considera che in questo settore la differenziazione territoriale ha origini lontane e che la Legge 328/2000 (che è stato l’unico intervento normativo di carattere nazionale che ha interessato anche la lotta alla povertà) non è stata in grado di promuovere l’omogeneità degli interventi (Agostini, 2008; 2011).

Al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono inoltre attribuite le competenze in materia di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale. Introdotti fin dal 2000 dalla Legge 328, i LEP non sono mai stati implementati. Prevedere che le nuove misure siano da considerarsi come livello essenziale delle prestazioni potrebbe rendere concreto un sistema di coordinamento multilivello rimasto sino a oggi sulla carta.

Si chiarisce poi che tale organismo è chiamato a consultare periodicamente le parti sociali e gli organismi del Terzo Settore al fine di valutare l’attuazione delle disposizioni di legge. Da questo punto di vista il sistema di governance definito è multi-stakeholder oltre che multilivello (Agostini, Sabato, Jessoula 2013).
In una prospettiva di cooperazione fra differenti livelli istituzionali, il Ministero è chiamato anche a predisporre specifici protocolli formativi e operativi al fine di agevolare l’attuazione della misura nazionale e a prevedere attività di affiancamento degli ambiti territoriali che presentino particolari criticità. Tali criticità saranno messe in luce attraverso l’attività di monitoraggio della misura svolta dallo stesso Ministero.

Il sistema definito dalla legge delega promuove poi la cooperazione fra diverse istituzioni attraverso la definizione di accordi territoriali tra i servizi sociali e quelli relativi all’inserimento lavorativo, alla salute, alle politiche abitative, all’istruzione e alla formazione, all’attivazione delle risorse di comunità.

Infine, la delega promuove la cooperazione intercomunale richiamando la necessità di rafforzare la gestione associata dei servizi. In primo luogo, si prevede la possibilità di introdurre meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse provenienti dai fondi strutturali europei, nei confronti degli ambiti territoriali che adottano forme di gestione associata dei servizi. In secondo luogo, la delega ha previsto il riordino della normativa inerente le forme di gestione associata dei servizi sociali e la possibilità di costituire consorzi per l’erogazione dei servizi sociali.


Il passaggio alla Camera

Fin dall’8 febbraio 2016, giorno in cui il Ministro Poletti ha presentato il disegno di legge delega sulla povertà, l’Alleanza contro la povertà in Italia ha avviato un’azione di confronto realizzando alcuni incontri con il Governo, con le forze politiche presenti alla Camera dei Deputati e con la relatrice in Commissione per il disegno di legge delega, Ileana Piazzoni, e presentando le proprie proposte di modifica al testo della legge delega. Questa interazione ha portato alla previsione di una serie di modifiche, sostenute dall’Alleanza, che sono state introdotte quando il disegno di legge delega è passato alla Camera.

Quattro sono, in particolare, le modifiche che meritano di essere menzionate. La prima riguarda la definizione (prima assente) di povertà. Tale definizione è stata inserita con lo scopo di chiarire che la misura si rivolge a quanti versano in condizione di povertà assoluta. Nel testo attuale si legge infatti che la povertà è intesa come “impossibilità di disporre dell’insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso”.

La seconda modifica ha riguardato invece la specificazione che il REI si compone di due elementi, il sostegno al reddito e i servizi alla persona. La precedente formulazione era eccessivamente sbilanciata verso il contributo economico considerato come unico livello essenziale. Con la nuova formulazione è invece chiaro che il livello essenziale si compone sia del contributo economico, sia dei servizi. L’armonizzazione tra questi due aspetti dovrebbe essere garantita dalla realizzazione di un’infrastruttura volta a sostenere il welfare locale. La necessità di realizzare tale infrastruttura rappresenta un punto centrale della proposta sostenuta dall’Alleanza.

La terza modifica ha riguardato la previsione che il contributo economico sia calcolato considerando il rapporto fra l’isee del nucleo familiare e la soglia di riferimento per l’individuazione della condizione di povertà. In particolare, se nella versione iniziale del testo gli importi previsti erano fissi, nella previsione attuale l’importo del beneficio sarà modulato considerando la differenza fra l’isee del nucleo e la soglia di povertà.

Infine, un’ulteriore modifica ha riguardato la previsione secondo cui il Ministero è chiamato a: 1) redigere dei protocolli formativi e operativi volti ad agevolare l’attuazione del Reddito di Inclusione; 2) intervenire attraverso la realizzazione di un percorso di accompagnamento e sostegno rivolto agli ambiti che presentano delle criticità.

I punti di debolezza

Nonostante i significativi passi in avanti compiuti dal disegno di legge delega, alcune criticità devono ancora essere superate. In primo luogo, il REI non è (a oggi) una misura universalistica, proprio in ragione del fatto che non è prevista una sua estensione nel tempo e non sono stati introdotti meccanismi in grado di garantire il raggiungimento di tutti i poveri assoluti. In linea con il passato, gli interventi in questo settore continuano quindi a essere categoriali. Affinché la misura possa essere estesa e diventare universalistica la copertura finanziaria finora prevista necessita non solo di essere confermata, ma anche ulteriormente rafforzata con la prossima legge di bilancio. Tale copertura è necessaria affinché si possa procedere all’avvio di un piano organico e pluriennale di lotta alla povertà e raggiungere tutta la popolazione in povertà assoluta.

In secondo luogo, particolare attenzione dovrebbe essere attribuita allo sviluppo dei servizi e quindi alla parte attiva della misura. Per supportare gli enti locali nella presa in carico dei nuclei, la delega ha infatti previsto solo dei finanziamenti europei che, per loro stessa natura, sono temporanei. In sostanza sembra che si stia chiedendo agli enti locali di costruire strategie per l’inclusione sociale senza tuttavia dotarli di strumenti adeguati. Certamente, il passaggio alla Camera ha rafforzato il ruolo dei servizi, prevedendoli come livello essenziale delle prestazioni e introducendo una serie di elementi dell’infrastruttura nazionale rivolti al welfare locale (monitoraggio, formazione, accompagnamento dei territori in difficoltà eccetera). Tuttavia l’impianto attuale ancora non li sostiene adeguatamente. Bisognerebbe infatti specificare quali siano gli effettivi livelli essenziali dei servizi da garantire e prevedere una linea di finanziamento a regime volta a sostenerli.

Un ulteriore aspetto del tutto trascurato dalla delega riguarda la previsione di meccanismi volti a incentivare la ricerca di un’occupazione durante il periodo di fruizione del REI. Nel quadro attuale, gli utenti del REI non hanno alcun incentivo a cercare un’occupazione poiché se percepiscono un reddito perdono il sussidio. In proposito, l’Alleanza (Gori et al, 2016), suggerisce di considerare in misura pari all’80%, piuttosto che al 100%, i redditi derivanti da un’occupazione avviata durante il periodo di fruizione della misura. Questa previsione dovrebbe riguardare i redditi sino alla soglia prevista per l’esenzione fiscale. Tale soglia, nel 2015, è stata fissata a 8.000 euro nel caso di lavoro dipendente e a 4.800 nel caso di lavoro autonomo.

Infine, rimane da chiarire in che modo potrà realizzarsi il coordinamento con gli schemi di reddito minimo che in alcuni casi sono già stati introdotti a seguito di iniziative locali (in particolare regionali). La legge delega non ha infatti sollevato la questione del coordinamento fra i vari strumenti di contrasto alla povertà operativi ai diversi livello di governo.  Inoltre, il fatto che in alcuni territori misure di questo tipo non sono mai state introdotte, in altri sono state solo sperimentate, in altri ancora sono invece operativi da tempo, costituisce un elemento che spinge a favore della disomogeneità territoriale. Posto che la delega si propone di promuovere l’omogeneità territoriale, è allora auspicabile che si intervenga su questa questione.


Considerazioni conclusive

L’insieme di interventi previsti dalla Legge di Stabilità 2016 e dal disegno di legge delega attualmente in discussione al Senato ha indubbiamente segnato un cambio di passo in un settore, quale il contrasto alla povertà, che ha tradizionalmente faticato a entrare nell’agenda politica e in cui gli strumenti di policy sono deboli.

Per la prima volta sono stati previsti dei finanziamenti strutturali per questo settore e siamo di fronte al tentativo, per ora dichiarato, di arrivare all’introduzione di una misura universalistica di contrasto alla povertà. Inoltre, la delega interviene sulla governance delineando un sistema multilivello e multistakeholder e promuovendo la cooperazione fra istituzioni diverse (attraverso la definizione di accordi territoriali) e fra gli enti locali (incentivando l’associazionismo intercomunale).

Nonostante la rilevanza di questi elementi, rimane da capire se effettivamente la svolta delineata troverà spazio per realizzarsi a pieno. Due punti appaiono particolarmente significativi. Il primo riguarda il fronte delle risorse. Queste, come detto, dovranno essere non solo confermate ma anche ampliate se si vuole dar vita a un piano di contrasto alla povertà che permetta, nei prossimi anni, di raggiungere tutti i poveri e di realizzare quindi una misura davvero universalistica. Il secondo punto riguarda i servizi e più in generale la capacità degli enti locali di garantire la presa in carico degli utenti. Da questo punto di vista è auspicabile che il supporto agli enti locali sia ulteriormente rafforzato.

Riferimenti

 

Agostini C., (2015), Lotta alla povertà e Secondo Welfare, in F, Maino e M. Ferrera (a cura di), Secondo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia 2015, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, pp. 223-242.

Agostini C. (2011), Social Services and Deviation from the Bismarckian Welfare Model in Italy: The Absence of a Nationwide Trend of Change, “International Review of Sociology”, n. 3, pp.469-481, 2011.

Agostini C. (2008), “Differenziazione e frammentazione territoriale delle politiche sociali”, in Quaderni di sociologia, n. 48, Vol. LII, pp. 57-69, 2008.

Agostini C., Sabato S., Jessoula M., Europe 2020 and new tool-kit against poverty and social exclusion: in search for coherence and effectiveness in multivel policy arenas, Centro Einaudi • Laboratorio di Politica Comparata e Filosofia Pubblica, Working Paper-LPF n. 2, 2013.

Alleanza Contro la Povertà in Italia (2016), Osservazioni al Disegno di Legge Delega recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, www.redditoinclusione.it.

Gori C., Baldini M., Martini A., Motta M., Pellegrino S., Pesaresi F., Pezzana P., Sacchi S., Spano P., Trivellato U., Zanini N., (2016), Il reddito d’inclusione sociale (Reis). La proposta dell’Alleanza contro la Povertà in Italia, Bologna, Il Mulino.

Gori C., Ghetti V., Rusmini G., Tidoli R. (2014), Il welfare sociale in Italia. Realtà e prospettive, Roma, Carocci.

Madama I., Jessoula M. (2015), «Alleanza contro la povertà e reddito minimo. Perché può essere la volta buona», in Le politiche contro la povertà in Italia. Dopo la crisi, costruire il welfare. Rapporto 2015, Caritas Italiana, pp. 91-103
 

Scarica il rapporto Caritas 2016 sulle politiche contro la povertà in Italia

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