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Nel contesto italiano, che vede per il 2014 cinquemila nascite in meno rispetto all’anno precedente, con un incremento demografico dello 0,4 per mille – il più basso degli ultimi dieci anni – e un tasso di fecondità a livello nazionale tornato a 1,4 figli e ben distante dalla media europea, intervenire con misure che favoriscano la possibilità di conciliare la vita familiare con il lavoro diventa una priorità per lo sviluppo del Paese. Come ha confermato anche il recente Rapporto Istat, ben il 42,7% delle madri che lavorano ha dichiarato di avere problemi a conciliare gli impegni familiari con il lavoro. Una percentuale che cresce tra le lavoratrici a tempo pieno, in particolare tra coloro che svolgono un lavoro a turni e non beneficiano di strumenti di flessibilità oraria. Si tratta, però, anche di fare sintesi tra i bisogni delle persone e quelli delle imprese, contribuendo a determinare quelle condizioni di “benessere organizzativo” che possono concorrere anche al conseguimento di maggiore efficienza e produttività, a loro volta elementi imprescindibili per la crescita e lo sviluppo. Più in generale bilanciare le esigenze familiari e di cura e quelle lavorative fornisce un contributo importante per il rinnovamento del welfare, per una crescita economica sostenibile e per la coesione sociale.

Le proposte di Cisl su maternità e conciliazione 

Il Jobs Act e il dibattito intorno ai decreti attuativi che verranno probabilmente discussi oggi in Consiglio dei Ministri sono l’occasione per aprire una riflessione sulle lacune ancora esistenti nel sistema di tutele per le madri e i padri lavoratori. Sotto questo profilo si segnala un documento che la Cisl ha sviluppato al proprio interno proponendo una serie di riflessioni inerenti l’esercizio della delega al Governo in tema di maternità e conciliazione famiglia-lavoro contenuta nel Jobs Act. Nel farlo la Cisl ha coinvolto i vari Dipartimenti Confederali – Politiche Sociali, Mercato del Lavoro, Pari Opportunità, Pubblico Impiego, Contrattazione – ed ha prestato ascolto alle tante istanze di conciliazione famiglia-lavoro provenienti da lavoratori e lavoratrici con carichi di cura raccolte negli anni dai delegati e dagli sportelli maternità/paternità/disabilità del Patronato InasI tre interventi ritenuti prioritari non comporterebbero oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche. Si tratterebbe di:

  1. estendere il periodo di fruibilità del congedo parentale (da prolungarsi anche in presenza di figli con handicap grave) fino ai diciotto anni di vita dei figli, a fronte del fatto che non esistono oggi congedi utilizzabili da padri e madri per dedicare tempo ai figli adolescenti;
  2. introdurre legislativamente la previsione del godimento frazionato del congedo parentale, salvo diversa disciplina stabilita dalla contrattazione collettiva di settore. La fruizione frazionata del congedo parentale può rispondere a innumerevoli esigenze delle famiglie con figli minori al proprio interno, e la contrattazione collettiva potrebbe poi intervenire per calibrare maggiormente tale previsione nei diversi contesti aziendali;
  3. prevedere la piena compatibilità tra i diversi istituti volti a tutelare i vari aspetti della cura per i lavoratori: rivolti ai figli, ai congiunti con gravi handicap, alle persone in condizioni di non-autosufficienza, e agli stessi lavoratori disabili.

Si tratta di misure che riguardano tre target di potenziali beneficiari: madri lavoratrici e padri lavoratori con figli piccoli, da 0 a 3 anni, e/o con figli adolescenti; lavoratori parenti o conviventi di persone non-autosufficienti; lavoratori con disabilità.


Estendere il congendo parentale fino ai 18 anni del figlio

Con riferimento all’estensione del periodo di fruibilità del congedo parentale (da prolungarsi anche in presenza di figli con grave handicap) fino ai diciotto anni di vita del figlio, è stata sottolineata in più occasioni l’assenza nella legislazione italiana di un sistema di flessibilità che consenta al genitore lavoratore di dedicare del tempo ai figli nella delicata fase dell’adolescenza. Pur parlando spesso di “emergenza educativa”, non si è mai ritenuto di investire nella possibilità che i genitori possano – attraverso flessibilità lavorative – trascorrere del tempo con i propri figli condividendo momenti e attività nell’area definita dell’ “agio” e non solamente all’emergere di un disagio. 

La disciplina del congedo parentale attualmente in vigore prevede che nei primi otto anni di vita del bambino i genitori abbiano diritto ad assentarsi dal lavoro, anche contemporaneamente. La madre può farlo per sei mesi, frazionati o continuativi, mentre il padre per sette. Le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono superare il limite complessivo di undici mesi. Il genitore solo può usufruire di un periodo di assenza pari a dieci mesi. Il genitore ha diritto durante il periodo di congedo parentale a un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo di tempo pari a sei mesi complessivi tra i genitori, fino ai tre anni di vita del bambino (o fino a tre anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione e affidamento). Dopo i sei mesi di congedo e fino all’ottavo anno di vita del bambino, l’indennità spetta solo se il reddito annuo del genitore richiedente non supera due volte e mezzo l’importo del trattamento minimo di pensione in vigore quell’anno. La proposta è dunque di estendere la possibilità di fruizione dei congedi parentali dagli otto anni oggi previsti sino ai diciotto anni dei figli, mantenendo gli ulteriori limiti oggi previsti dalla normativa (sempre che non vi sia l’intenzione di un reale investimento economico in questo senso, che pure sarebbe necessario).

La contrattazione ha “incrociato” più volte questo tema, ma le trasformazioni nel tessuto sociale rendono urgente affrontarlo anche per via legislativa a beneficio di tutti i lavoratori. Per questo la Cisl ha proposto che il congedo parentale possa essere fruito fino ai 18 anni di vita del figlio, pur mantenendo i vincoli esistenti ai sei mesi e all’indennità. Si tratta di una misura priva di impatto economico, ma che darebbe alle famiglie con figli adolescenti una importante opportunità. Tale proposta verrebbe anche incontro alle esigenze dei lavoratori con figli con handicap, che potrebbero fruire del prolungamento del congedo parentale in un arco temporale più dilatato.

Utilizzare in modo frazionato il congedo parentale

Con riferimento alla seconda proposta – la possibilità di usare in modo frazionato il congedo parentale – l’applicazione dell’art. 32, comma 1bis, del TU che prevede la delega alla contrattazione collettiva di settore per la definizione di modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, sta incontrando notevoli rallentamenti e ostacoli legati alla complessità del sistema delle relazioni industriali in Italia.

Le principali domande espresse da lavoratori e lavoratrici madri e padri di bambini piccoli, con meno di tre anni, sono legate alla possibilità di vedere valorizzata la propria prestazione professionale anche in ottica di produttività e alla possibilità di gestire in maniera flessibile la presenza sul luogo di lavoro per rispondere alle diverse istanze legate alla cura e all’educazione dei figli. Si tratta di aspetti e questioni che sono in molti casi affrontati nella contrattazione (premi di produttività, permessi, banca delle ore, …): diversi contratti di secondo livello hanno, infatti, recepito anche il godimento frazionato dei congedi parentali (ad esempio imprese come Silvelox di Trento, Fresco di Savona, Folletto, Equitalia) ma ancora oggi le domande delle lavoratrici e dei lavoratori non hanno trovato accoglimento per difficoltà tecniche legate al calcolo e alla modulistica. Si segnala anche il dialogo aperto da mesi con Confindustria per definire un Accordo quadro di riferimento su questa tematica, senza che però si sia ancora arrivati ad una sua approvazione.

Di fronte a questo scenario, la Cisl propone di intervenire in via legislativa attraverso un calcolo coerente con l’algoritmo già utilizzato a livello amministrativo per la fruizione frazionata dei permessi mensili a motivo di handicap, che renda immediatamente applicabile il diritto, fatta salva la diversa disciplina stabilita dalla contrattazione collettiva di settore. La fruizione frazionata del congedo parentale potrebbe così rispondere alle numerose esigenze delle famiglie con figli minori al proprio interno, mentre la contrattazione collettiva avrebbe la facoltà di intervenire per calibrare maggiormente la misura nelle diverse realtà.

Garantire piena compatibilità tra i diversi istituti già esistenti

 

Venendo alla terza proposta, per rafforzare la diffusione e l’impatto delle misure di conciliazione vita-lavoro l’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire una piena compatibilità tra i diversi istituti a tutela dei lavoratori rispetto ai numerosi aspetti legati alla cura dei figli, dei familiari con handicap gravi, delle persone non-autosufficienti e dei bisogni degli stessi lavoratori disabili. La proposta è di rendere compatibili i riposi di allattamento e il prolungamento del congedo parentale fruito in modalità frazionata in caso di figlio/a con handicap in condizione di gravità perché, pur potendosi collocare nelle medesime giornate e nei medesimi mesi, rispondono a logiche ed esigenze di tutela diverse.

La proposta in questo caso è di estendere il diritto al congedo non retribuito per gravi motivi familiari (ex art. 4, comma 2, della legge 53/2000) anche al lavoratore che assiste un parente non-autosufficiente e che ha già utilizzato l’intero periodo di due anni di congedo straordinario indennizzato. E’ infatti importante riconoscere al lavoratore con handicap in situazione di gravità il diritto al congedo non retribuito per gravi motivi familiari in caso di documentabili e gravi necessità legate allo stato di salute, da fruire al termine del periodo di comporto. La normativa oggi riconosce il diritto al congedo non retribuito al lavoratore che presta assistenza a un familiare non-autosufficiente, ma non al disabile in condizioni di grave handicap che lavora.

Pur trattandosi di un istituto completamente non retribuito, la proposta consentirebbe al disabile una maggiore tutela rispetto al mantenimento del posto di lavoro in caso di lunghe assenze legate ad esigenze di cura. E’ stato poi proposto di prevedere: a) che non si tenga conto ai fini del computo dei 60 giorni di sospensione che causano la perdita del requisito di accesso per il diritto al trattamento economico di maternità del periodo di congedo straordinario indennizzato per un familiare disabile grave o del congedo per gravi motivi familiari; b) la sospensione automatica di qualsiasi congedo in corso di fruizione per tutto il periodo di congedo di maternità/paternità. Oggi infatti quando si verifica una gravidanza durante il periodo di congedo straordinario grave o del congedo per gravi motivi familiari per la cura di un parente non-autosufficiente, la lavoratrice sospesa da più di 60 giorni perde il diritto al trattamento economico di maternità.

E’ importante sottolineare l’importanza, a tutela delle persone con disabilità grave o non-autosufficienti, di estendere l’utilizzo di riposi, permessi e congedi al tutore o all’amministratore di sostegno convivente che si fa carico della cura della persona con disabilità – anche senza vincoli di parentela – nel caso in cui non vi siano altri parenti o affini entro il terzo grado abili a prestare assistenza. Il vincolo della convivenza e il requisito dell’effettività dell’assistenza potrebbero dare alcune garanzie di prevenzione di eventuali abusi, permettendo al tempo stesso alle persone disabili che non hanno una rete parentale vicina di godere dell’assistenza e del sostegno necessari. In generale sarebbe inoltre utile prevedere incentivi volti alla sottoscrizione di accordi collettivi per la flessibilità per chi ha carichi di cura, accordi entro i quali potrebbero trovare ancoraggio misure come il telelavoro e lo smart working ma anche servizi di welfare aziendale rivolti alla prima infanzia e dove possibile aperti al territorio.

Sarà di particolare importanza ai fini della verifica degli effetti derivanti dall’introduzione di tali misure, l’implementazione di un sistema di valutazione partecipato dalle parti sociali: un tratto distintivo delle iniziative che possono essere ricondotte al secondo welfare. Il monitoraggio dovrà riguardare i lavoratori genitori, i lavoratori che assistono un familiare disabile e i disabili che lavorano. Sarebbe inoltre opportuna ai fini di ulteriori valutazioni e proposte di modifica, la pubblicazione, in formato aperto, dei dati della serie storica completa sul sito istituzionale del Ministero del lavoro.

Indennità di maternità, cessione dei permessi e violenza di genere

Per concludere, vale la pena menzionare altri tre fronti in questi mesi al centro della riflessione della Cisl: l’indennità di maternità, la cessione di permessi a colleghi e i congedi dedicati alle donne vittime di violenza di genere.

Con riferimento all’indennità di maternità il Jobs Act prevede una ricognizione delle prestazioni che tutelano sotto il profilo economico la maternità al fine di estendere il sistema di misure ad oggi esistenti con l’obiettivo di dare risposte effettive alle diverse categorie di lavoratrici, comprese le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS, alle quali verrà esteso il principio di automaticità della prestazione. Si tratta di un elemento importante, seppure non ancora equiparabile ad uno strumento universale di sostegno economico della maternità quale livello essenziale di tutela per la donna puerpera, svincolato da requisiti contrattuali, reddituali o contributivi.

Venendo alla cessione di permessi a colleghi, il Jobs Act prevede la possibilità di cedere giorni di riposo aggiuntivi previsti dal CCNL, salvaguardando il diritto a riposi e ferie previsto dalla legge, a colleghi genitori di figli minori che necessitano di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute. Sebbene sia certamente necessario fornire la cornice legislativa ad un fenomeno nato spontaneamente in alcune realtà e già diffuso in altri paesi europei, tale misura risulta – secondo la Cisl – limitante se circoscritta ai soli genitori di minori in particolari condizioni di salute: sarebbe preferibile un riferimento più generale a lavoratori conviventi con parenti entro il primo grado, con un riferimento più specifico alle certificazioni di handicap grave. A questo va aggiunto che le modalità di gestione della cessione andrebbero certamente definite per via contrattuale. A questo proposito non pare rispettoso della tutela e della privacy dei lavoratori la cessione diretta nominativa di permessi ad un determinato collega, mentre sarebbe preferibile la costituzione di un “Fondo ore” erogabile in base a criteri, anche molto rigidi, predeterminati attraverso la contrattazione.

Da ultimo, sarebbe importante prevedere congedi dedicati alle donne inserite in percorsi di protezione per la violenza di genere. Si tratterebbe di una misura coerente con le azioni auspicate anche dalla Cisl in materia di prevenzione della violenza sulle donne e sui minori, finalizzate a procedere dinanzi ai casi accertati di violenza con un approccio multidisciplinare in grado di garantire una presa in carico complessiva delle vittime, attraverso interventi mirati di protezione, recupero psico-fisico e riabilitazione nei luoghi di lavoro. L’attenzione riservata alle donne inserite nei percorsi di protezione a seguito di violenza è certamente da considerarsi una vera e propria “azione positiva”, in linea anche con le indicazioni contenute nella Convenzione di Istanbul, recepita dall’Italia mediante il “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”(istituito ai sensi della Legge 119/2013) e di cui la Cisl chiede la piena attuazione.

Riferimenti

Il documento Cisl su Delega maternità e conciliazione famiglia/lavoro

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