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La riforma costituzionale avrebbe dovuto abolirlo, ma la vittoria del “no” al referendum del 4 dicembre ha evitato la dissoluzione del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economica e Lavoro.

Il Governo Renzi, certo che la consultazione referendaria avrebbe confermato le scelte del Parlamento, già dal 2014 aveva iniziato a depotenziare l’organo eliminando indennità e rimborsi per i consiglieri, limitando le risorse per lo svolgimento delle attività e cercando di ridurre al minimo funzioni e prerogative. Il clima di smobilitazione creatosi intorno al CNEL aveva portato diversi consiglieri a dimettersi prima della scadenza naturale del mandato lasciando a Villa Lubin solo 23 dei 64 previsti, che hanno però continuato a svolgere le proprie attività a titolo gratuito.

L’esito del referendum ha però reso vane le azioni governative e ora l’organo, forte del risultato del voto, è intenzionato a riprendersi il ruolo assegnatogli dalla Costituzione avviando un processo di autoriforma. Il 21 febbraio l’Assemblea del CNEL ha così approvato un disegno di legge che propone di modificare la normativa vigente (l. 936/1986) e che mira ad aumentare le competenze e a rafforzare il ruolo di rappresentanza dell’organo. Il testo del provvedimento è stato trasmesso alla Presidenza del Consiglio e recentemente è stato incardinato al Senato in Commissione Affari Costituzionali.

In attesa di vedere se e quando la politica deciderà di occuparsi seriamente del CNEL, abbiamo provato a capire quali sono gli spazi di manovra che l’organo può ritagliarsi dal punto di vista del secondo welfare. Per farlo abbiamo incontrato l’attuale vice presidente Gian Paolo Gualaccini, che ci ha indicato i principali obiettivi della riforma e i passi attesi per i prossimi mesi.

Dottor Gualaccini, il referendum del 4 dicembre ha evitato l’abolizione del CNEL ma ora l’organo si trova di fatto nel mezzo di un guado: alle spalle un passato difficile, di fronte un futuro tutto da scrivere. Come vi siete mossi finora?

Il risultato del referendum, che vi assicuro non è stato festeggiato con party sfrenati o trenini come descritto sui social, ci ha dato una responsabilità enorme: dimostrare di poter essere veramente utili a Governo e Parlamento e, quindi, al Paese. In passato ci sono certamente state tantissime mancanze da parte del CNEL, ma la riforma che abbiamo presentato ha l’obiettivo di ridefinire gli obiettivi e cambiare le modalità operative con cui si muove l’organo.


Quali sono i principali punti della riforma?

Oltre alla conferma di tutte le attuali attribuzioni, è prevista l’introduzione di pareri obbligatori, ma non vincolanti, per i maggiori atti di finanza pubblica (DEF, nota di aggiornamento al DEF e Legge di bilancio) ed è proposto un ruolo di certificatore del grado di rappresentatività nazionale delle organizzazioni sindacali nel settore privato.

È inoltre prevista la predisposizione di un rapporto congiunto CNEL-ISTAT con cadenza annuale che si occupi della misurazione del  BES, il Benessere Equo e Sostenibile.

Per quel che riguarda la composizione, il numero di consiglieri resterà invariato (64) ma è definita una nuova modalità di nomina, più veloce e più trasparente, che sarà attribuita al Consiglio dei ministri, al fine di garantire il più ampio livello di pluralismo possibile, ed è prevista la nomina di consiglieri che nell’Assemblea rappresentino ANCI, UPI e la Conferenza delle Regioni. E il Presidente del CNEL dovrà essere nominato dal Presidente della Repubblica.

Qualcuno ha già storto il naso perché la riforma non taglia il numero di consiglieri. Un autogol?

Per quanto riguarda il numero di consiglieri è vero che questo resta invariato, ma dietro c’è una ragione ben precisa: aumentare la rappresentatività. Mediaticamente ci avrebbe fatto comodo ridurli, ma abbiamo ritenuto più utile mantenere i 64 posti attuali e modificare la composizione per garantire un maggior pluralismo. In questo senso, una parte della riforma prevede anche un articolo sul “dialogo sociale”, che definisce nuovi strumenti attraverso i quali anche coloro i quali non potranno essere rappresentanti nell’Assemblea del CNEL avranno a disposizione un importante luogo di confronto. Vogliamo così creare le condizioni per essere davvero la “casa delle parti sociali” che avevano immaginato i costituenti.

Come detto, occorre poi ricordare che la nomina dei consiglieri avverrà con modalità nuove, più veloci e più trasparenti, sempre al fine di garantire alti livelli di pluralismo. Oggi la designazione è fatta dalle parti sociali attraverso un meccanismo molto complesso e farraginoso che può durare fino a nove mesi. Con la riforma la designazione è fatta dal Consiglio dei Ministri, sentite le parti sociali, similmente a quanto già accade a livello europeo col CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo, nda). Così facendo intendiamo rendere più autonomi i consiglieri e più veloce la nomina, che dovrebbe avvenire nell’arco di un paio di mesi.


E per quanto riguarda la dibattuta questione della reintroduzione delle indennità? Cosa prevede l’autoriforma?

Nella autoriforma non c’è nulla su questo: la proposta fatta dal CNEL è a costo zero. Rimborsi spese, indennità e spese per le attività sono state cancellate con una norma della Legge di stabilità 2015, in previsione dell’abolizione del CNEL. Adesso quindi è il Parlamento, non il CNEL, che deve decidere su una situazione normativa che oggi è palesemente incostituzionale. Se si vuole che il lavoro dei consiglieri del CNEL sia gratuito non c’è problema però, coerentemente, devono allora essere cancellate indennità e rimborsi spese anche per le cariche degli altri enti di rilievo costituzionale equiparati dalla nostra carta costituzionale al CNEL, e cioè Corte dei conti, Consiglio Superiore della Magistratura e Consiglio di Stato. Si metta da parte la demagogia e si discuta della questione: o l’una o l’altra ipotesi. Tertium non datur.

Per parte nostra ricordiamo che da gennaio 2015 i consiglieri lavorano a costo zero: coloro che sono rimasti in carica prestano quindi il proprio lavoro gratuitamente per l’erario, e anzi spesso pagando di tasca propria molte attività legate all’ente, da oltre due anni. Abbiamo ritenuto opportuno prevedere una modifica dei regolamenti prevedendo che il ruolo di consigliere sia legato allo svolgimento effettivo del proprio compito di rappresentanza; sia legato al lavoro che fa. Se fossero ripristinate indennità e rimborsi spese, i futuri consiglieri che non dovesse partecipare ai lavori dell’organo andranno incontro a un’enorme decurtazione del proprio compenso.

In passato ai consiglieri spettavano 25 mila euro lordi l’anno, indipendentemente dalla partecipazione ai lavori dell’organo. Questo non accadrà più. Penso sia una scelta che dimostra serietà e che ci permette anche di lanciare una battaglia culturale: se hai un ruolo pubblico devi svolgere il compito che quel ruolo comporta. E se non svolgi quel compito non hai diritto al compenso previsto per quel ruolo. Penso sia un punto importante non solo per il CNEL, ma per tutti gli organi rappresentativi.


Quali sono i principali elementi della riforma che potrebbero avere un impatto in un’ottica di secondo welfare?

Ci sono due aspetti che mi pare abbiano un grande interesse per chi si occupa di secondo welfare.

Il primo aspetto, su cui ci siamo già messi in moto, è che il CNEL intende proporsi come ente certificatore della rappresentanza sindacale nel privato. È una cosa che oggi non fa nessuno e di cui c’è un gran bisogno: mentre nel pubblico la rappresentanza è certificata dall’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, nda), nei circa 800 contratti collettivi nazionali non c’è invece nessuna certificazione. È una proposta, quella del "CNEL certificatore", su cui i rappresentanti sindacali e datoriali presenti all’interno dell’Assemblea – prima di dimettersi – si erano già trovati d’accordo. Ora noi stiamo portando avanti questa idea coordinandoci sia con l’INPS che con il Ministero. Abbiamo visto Boeri, che non ha presentato obiezioni, e che anzi ci ha offerto i dati a sua disposizione, e abbiamo visto i vertici del Ministero del Lavoro che ci ha dato la massima disponibilità a lavorare insieme. A breve quindi ci sarà un incontro tecnico, proprio qui a Villa Lubin, per stabilire i passi da seguire per dare al CNEL questo ruolo di certificatore in accordo con INPS e Ministero del Lavoro.

Il secondo aspetto è quello relativo alla povertà assoluta. Per ora, usando gli strumenti che abbiamo a disposizione, abbiamo approvato come CNEL una mozione che impegna Governo e Parlamento ad affrontare la questione. Il vero obiettivo però è che il CNEL – nell’ottica di rappresentatività, pluralismo e dialogo di cui parlavo prima – diventi il luogo privilegiato dove coloro i quali sono impegnati nel contrasto alla povertà possano confrontarsi sulle misure necessarie per affrontare questa battaglia. L’intenzione è che il CNEL diventi un punto di riferimento che favorisca le riflessioni su questo problema, ma anche su tanti altri temi sociali fondamentali per l’Italia. La povertà assoluta è cresciuta del 155% negli ultimi 10 anni: c’erano 1,8 milioni di persone in questa condizione nel 2007, oggi che ne sono 4,6 milioni. E non bisogna dimenticare gli 8,3 milioni di persone in povertà relativa, che in parte ricomprendono quelle in povertà assoluta. Mi pare un problema enorme da affrontare.

Avete quindi definito i nuovi obiettivi dell’ente, fatto la riforma e trasmesso il tutto agli organismi parlamentari competenti. Cosa vi aspettate adesso?

A poco più di due mesi dall’esito referendario abbiamo messo nero su bianco la riforma con l’approvazione unanime di tutte le parti sociali presenti al CNEL: ora ci aspettiamo che Governo e Parlamento siano responsabili: mi pare invece che tanti facciano finta che il referendum del dicembre scorso non ci sia stato.

I silenzi del Governo e di alcune parti sociali sul CNEL sono assordanti: è evidente che molti, lasciando il CNEL nella quasi impossibilità di funzionare, vorrebbero vederlo morire. È la storia triste di una classe politica capace solo di evitare accuratamente qualunque responsabilità. La questione, tuttavia, non si limita alle istituzioni politiche.

La riforma pone una domanda anche a tutte le parti sociali: volete un organo serio dove si possano trovare punti condivisi per affrontare le questioni cruciali per il nostro Paese?Le singole parti sociali – soprattutto se sono grandi parti sociali – non hanno certamente bisogno del CNEL per dire quel che pensano e per far sentire la propria voce. Ma mi chiedo se, oltre a portare acqua al proprio mulino, queste realtà abbiano anche la volontà e il coraggio di confrontarsi su tanti temi fondamentali per l’Italia provando a cercare la più ampia condivisione e avendo un unico, grande luogo di riferimento, che potrebbe essere appunto il CNEL. Oppure se preferiscono tenersi le “mani libere” ed evitare la fatica del confronto.

Recentemente Tiziano Treu è stato nominato nuovo Presidente del CNEL, cosa si aspetta da lui?

Sono certo che sarà il primo e più convinto sostenitore del DDL di autoriforma del CNEL, che finalmente è stato incardinato in Commissioni Affari Costituzionali del Senato.