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A differenza dei mesi scorsi questa volta gli indicatori prodotti dall’Istituto nazionale di statistica vanno tutti nella stessa direzione: il tasso di disoccupazione scende, gli inattivi anche e il tasso di occupazione sale. È la prima volta che si registra questa uniformità e la novità va salutata sicuramente con soddisfazione. Al di fuori di ogni speculazione politica di corto respiro. Vuol dire, infatti, che la composizione del mercato del lavoro italiano sta, seppur lentamente, migliorando ovvero che l’area grigia delle false partite Iva si riduce (la stima è -41 mila nel 2015), che si stipulano nuovi contratti a termine (+106 mila) ma, soprattutto, che una parte consistente di questi ultimi si trasforma in contratto a tempo indeterminato facendo segnare sul cruscotto +141 mila. Non abbiamo il dato per settore ma visto che parliamo di novembre il driver non dovrebbe essere più rappresentato dal turismo e quindi dalla stagionalità — come era accaduto in precedenti rilevazioni pur favorevoli — ma da una vera stabilizzazione di personale che le imprese avevano già in forza con contratti più laschi.

Due però sono le considerazioni da fare immediatamente per non peccare di parzialità. Il risultato di ieri si deve (molto) agli incentivi sulla defiscalizzazione decisi dal governo nella legge di Stabilità dello scorso anno ovvero a un investimento di circa due miliardi per il solo 2015. Questo sforzo di finanza pubblica ha fruttato poco o tanto? Sicuramente meno di quanto ci saremmo aspettati se è vero che a un anno di distanza abbiamo tutto sommato un mercato del lavoro da considerare ancora instabile e caratterizzato da andamenti non continuativi. La seconda considerazione riguarda proprio il mese di novembre 2015: siccome gli incentivi con la nuova Stabilità sono stati rinnovati solo parzialmente siamo di fronte solo a un anticipo delle assunzioni che sarebbero state perfezionate nel 2016? Non lo sappiamo con certezza ma è ragionevole pensare che sia accaduto proprio così. La prova-finestra la si avrà più in là nel tempo quando l’Istat ci darà il rendiconto del movimento dei contratti a tempo indeterminato targati 2016, fino ad allora il dubbio è legittimo. Intanto comunque registriamo l’estrema vivacità del Nordest perché, secondo i numeri forniti ieri da Veneto lavoro, nel 2015 si è registrato un incremento dell’81% sull’anno precedente di nuovi contratti a tempo indeterminato (145 mila contro 80.600).

Come detto il 2016 si presenta in salita innanzitutto a causa della diminuzione del monte-incentivi e di almeno altri due fattori che ieri l’ex ministro Maurizio Sacconi individuava nell’ingresso in produzione di maggiore tecnologia e nella diminuzione dei volumi del commercio globale (con le ovvie conseguenze negative sul nostro export). Sull’altro piatto della bilancia però dovrebbe far sentire il suo peso l’accelerazione del Pil 2016 che il governo prevede all’1,5% e stime più prudenti dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo danno comunque all’1,2%. Per chiudere il cerchio delle valutazioni sullo stato del nostro mercato del lavoro va fatta però un’ultima annotazione, non particolarmente benigna. Non bisogna dimenticare, infatti, che a sostegno dei numeri complessivi c’è il rinvio del pensionamento di molti over 50 per effetto delle nuove norme sul ritiro. In sostanza l’età media degli occupati in Italia è in rialzo — non solo per il fisiologico fluire del tempo statistico — ma anche per una maggior presenza di «pantere grigie» e una relativa minor presenza di giovani. All’Istat confermano che a soffrire di più in questo nostro convalescente mercato del lavoro alla fin fine è la classe d’età che va dai 25 ai 34 anni. Non è un dettaglio da poco.


Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera dell’8 gennaio 2016.