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Il tema degli investimenti delle imprese sociali e degli strumenti per finanziarli è centrale nel dibattito che sta coinvolgendo operatori del settore, centri di ricerca ed attori politici. “Tornare ad investire” è stata la parola chiave del recente workshop sull’impresa sociale organizzato da Iris Network a Riva del Garda.

 

Nel workshop il Sottosegretario Bobba ha presentato il fondo rotativo di 200 milioni di euro che il Governo intende attivare per sostenere il finanziamento degli investimenti materiali ed immateriali delle imprese sociali e delle cooperative sociali. Il fondo finanzierà, a tasso agevolato, i progetti di investimento delle imprese coprendo il 50% del fabbisogno finanziario, sino ad un massimo di 10 milioni di euro. Il restante 50% dei progetti di investimento e sviluppo dovrà essere cofinanziato da un istituto di credito convenzionato.

 

Negli ultimi mesi il Consigliere della Presidenza del Consiglio Manes sta lavorando alla costituzione di una Fondazione Nazionale per lo sviluppo del sociale che sarà finanziata con 50 milioni di euro pubblici e che dovrà attrarre 100 milioni di euro privati. Nelle intenzioni di Manes, esplicitate con chiarezza nel suo intervento a Riva del Garda, con un approccio top down la Fondazione dovrà selezionare alcuni progetti di rilievo nazionale realizzati da soggetti che capitalizzerà direttamente, esprimendone il controllo della governance ed indicando direttamente il management.

 

Le due iniziative a cui sta lavorando il Governo (il Fondo Rotativo e la Fondazione Nazionale) sembrano avere presupposti ed obiettivi differenti ed in parte in contrapposizione. Il Fondo Rotativo avrà positive ricadute in termini di tassi di interesse e di facilità di accesso al credito, riducendo il livello di rischio a cui sono sottoposte le banche quando finanziano le imprese sociali. Tuttavia l’utilizzo dei 200 milioni di euro potrebbe essere più efficace se fossero impiegati, almeno in parte, per capitalizzare le imprese sociali e le cooperative sociali piuttosto che esclusivamente per cofinanziare i progetti di investimento delle stesse. Intervenendo sull’equity si aumenterebbe anche il livello di finanziamenti di mercato che il sistema bancario potrebbe erogare alle imprese e cooperative sociali.

 

La costituzione di una Fondazione Nazionale sul modello di quella illustrata da Manes sembra essere guidata da una visione centralista dello sviluppo dell’economia sociale in cui pochi illuminati capitalisti che finanziano la Fondazione decidono quali sono le priorità ed i progetti strategici per il Paese. Non si comprende il motivo per cui questo approccio, del tutto legittimo per fondazioni private, debba essere sostenuto con risorse pubbliche.

 

Crediamo che, piuttosto che seguire un approccio top down, lo sviluppo dell’economia sociale debba partire dal basso valorizzando le risorse e le competenze di cui sono dotati i territori e le comunità. In questa prospettiva riteniamo utile introdurre un vero e proprio prestito d’onore per gli imprenditori sociali destinato a finanziare i soci di cooperative ed imprese sociali in fase di start-up o di recente costituzione che intendono capitalizzare la propria impresa. Il prestito d’onore potrebbe essere rivolto a imprenditori sociali con al massimo 45 anni e potrebbe avere un importo tra i 5 ed i 30 mila euro ed una durata massima di 20 anni.

 

L’introduzione del prestito d’onore sarebbe un’azione capace di segnare una forte innovazione nelle politiche di sviluppo economico riuscendo ad attivare e valorizzare le idee, le competenze e le professionalità di un’ampia fascia di persone che non lavora o è occupata in modo occasionale e saltuario. In questo modo si potrebbero creare le condizioni per sostenere esperienze e servizi innovativi nel welfare, per valorizzare le risorse ambientali, turistiche e culturali inutilizzate e per recuperare e rigenerare i tanti spazi vuoti che la crisi ha lasciato nelle città. Cinema e teatri abbandonati, esercizi commerciali, ristoranti ed alberghi chiusi, capannoni industriali dismessi potrebbero essere rigenerati divenendo nuovi motori di sviluppo economico e sociale. Esemplari sono i casi delle imprese sociali che in questi anni stanno riqualificando aree delle nostre città, integrando welfare, cultura e sviluppo locale; delle cooperative di comunità che stanno facendo rivivere aree marginali del territorio nazionale e delle cooperative sociali che, con approcci e metodologie di intervento innovative, stanno dando risposte qualificate alle emergenze sociali come ad esempio quella delle persone che vivono in condizioni di povertà estrema o delle persone senza fissa dimora.

 

Il prestito d’onore per gli imprenditori sociali potrebbe liberare le energie presenti nel Paese che per anni, anche a causa della crisi, sono rimaste bloccate. Potrebbe liberare le energie migliori per dare risposte imprenditoriali ai nuovi bisogni sociali, economici ed ambientali che attraversano l’Italia negli anni “post crisi” puntando su un nuovo modello di sviluppo non più fondato sui debiti e sulla finanza ma legato ai territori, ancorato all’economia reale, ai bisogni delle persone e delle comunità.

 

Particolarmente interessante, in questa prospettiva, è il dato relativo alle cooperative sociali di recente costituzione. Nel periodo 2009-2013, infatti, sono nate 3.778 cooperative sociali ad oggi attive, che nel 2013, avevano un valore della produzione aggregato di 842 milioni di euro ed occupavano circa 30.000 persone (Centro Studi Legacoop, 2015). Per comprendere la portata di questo fenomeno bisogna pensare che nel periodo 2001-2005, che segue l’approvazione della legge 328 ed in cui sono stati istituiti i primi fondi nazionali per il finanziamento dei servizi sociali, sono nate in media 422 cooperative sociali all’anno, mentre nel periodo 2009-2013 ogni anno sono nate 944 cooperative sociali a cui si devono aggiungere le centinaia di imprese sociali costituitesi nell’ultimo periodo.

 

Pensiamo che il prestito d’onore rappresenterebbe un importante volano per le cooperative e le imprese sociali in fase di start-up aumentando la capacità di investimento e la velocità di sviluppo di queste iniziative con importanti impatti economici ed occupazionali.

 

Riferimenti

Centro Studi Legacoop, Aspetti quantitativi e qualitativi delle cooperative sociali italiane e associate a Legacoop, Roma, 2015.

 

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