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Dentro i processi di rigenerazione urbana, negli ultimi 5 anni, è possibile osservare una nuova generazione di innovazioni sociali nate dalla ricombinazione di risorse e soluzioni eterogenee (prima confinate in ambiti separati), capaci di produrre quella trasformazione inattesa spesso descritta come il passaggio da “spazi in luoghi”.

In uno scritto recente Ruckstuhl et.al (2015) usano un dipinto, l’Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, per introdurre il concetto di Urban Enterprise, una metafora che cerca di cogliere la capacità delle comunità urbane di creare e capitalizzare valore sociale positivo con meccanismi riconducibili ad una vera a propria funzione di produzione di comunità. Lo sviluppo è in grado di rigenerarsi, infatti, solo intorno a una rinnovata capacità di riconoscere la comunità come mezzo per prendersi cura di sé e come esito di economie che riconoscono la produzione come “fatto sociale”, economie ibride capaci di tenere insieme dono e mercato, partecipazione e imprenditorialità.

L’idea su cui stanno sperimentando è che una progettazione integrata di infrastrutture sociali e comunitarie, infrastrutture digitali e infrastrutture fisiche, assistita da strumenti di finanza ad impatto sociale, possa trasformare le comunità e le reti sociali in produttori di impatto sociale positivo e che solo la generazione e la capitalizzazione di tale impatto possa garantire, nel medio lungo periodo, la tenuta del valore economico degli asset fisici e immobiliari realizzati nell’ambito di operazioni di rigenerazione urbana.

Oltre la retorica della Sillicon Valley

Al di là dell’iperbole, questa riflessione rende evidente come stia maturando tra gli sviluppatori urbani che sono chiamati a promuovere operazioni di partenariato pubblico privato in aree periferiche o disagiate, la consapevolezza che non è più possibile fare leva su sottostanti di valore economico tradizionali – come residenziale, insediamento di imprese o grande distribuzione per citarne alcuni. È invece necessario venire a patti con l’evidenza che le reti sociali ed in particolare le aspirazioni degli abitanti, sono sempre più frequentemente l’unica fonte possibile di generazione di valore e che una progettazione urbana che non includa intenzionalmente un investimento in queste aspirazioni trasformandole in imprenditorialità sociale, molto difficilmente potrà generare e soprattutto mantenere valore economico nel tempo.

In questa ottica, il valore apparentemente intangibile che nasce dall’attivazione e inclusione della comunità in processi di partecipazione, si configura come il vero e proprio asset intorno al quale progettare un’operazione di sviluppo.

È questa una consapevolezza che matura storicamente dopo molti anni nei quali lo stesso obiettivo di creazione e tenuta del valore, anche su scala locale, è stato quasi univocamente e anacronisticamente affidato alla retorica novecentesca della Silicon Valley, secondo la quale la sola presenza di istituzioni scientifiche e le relative ricadute innovative e tecnologiche, favorite dalle proliferazione di incubatori e acceleratori, avrebbe restituito valore economico e sociale ai luoghi e alle comunità. Un’equazione debole quella tra intensità scientifica e tecnologica e sviluppo locale, che ha colpevolmente dimenticato una serie di condizioni abilitanti necessarie a garantire la rendicontabilità sociale degli investimenti in ricerca e innovazione.

La necessità di interventi integrati per una diversa idea di città

Lascito evidente di questa generazione di politiche e interventi è la consistente massa di “investimenti in mattoni”, per lo più finanziati dalle politiche europee di coesione, del tutto prive di intangibles che ne giustificassero la consistenza fisica. Interventi quindi che non solo hanno per lo più fallito nella loro dimensione di rigenerazione urbana, se non su un piano puramente architettonico, ma che hanno anche lasciato in eredità una lacerazione profondissima tra politica, innovazione e società.

La necessità di ricucire questa lacerazione e aprire una nuova stagione di interventi di rammendo e rigenerazione urbana basata su reti e imprenditorialità sociale, trova la sua concreta realizzazione nella volontà di integrare in modo inscindibile progettazione sociale, sviluppo urbano e investimenti immobiliari, in particolare nelle grandi operazioni di rigenerazione nelle aree periferiche. D’altra parte, anche tra gli sviluppatori va diffondendosi una crescente consapevolezza dell’ampliarsi dello iato tra il valore degli asset in portafoglio basato sulla consistenza e sulla qualità fisica e tangibile degli asset e il realistico valore di realizzo degli stessi. Quest’ultimo, in molte delle aree particolarmente difficili delle grandi città italiane, è presumibilmente molto inferiore al valore presunto di mercato determinato secondo parametri puramente immobiliari e plausibilmente vicino allo zero in un numero non trascurabile di casi.

In altri termini, il valore degli asset, in assenza di un mercato, non trova corrispondenza nelle tradizionali misure economiche ma è unicamente il riflesso del valore della progettualità sociale che può esprimersi all’interno o al contorno di questi. È forse quindi venuto il tempo di guardare il tema della rigenerazione delle periferie come occasione per ridisegnare “una diversa idea di città”. Un design urbanistico, infatti, incapace di valorizzare i “flussi relazionali” ed i “piaceri e rituali della collaborazione” (Sennett 2012), di progettare ecosistemi di economia sociale e di reti comunitarie si dimostrerebbe ben presto insostenibile; la cifra della città-comunità non è tanto la più grande dimensione, quanto piuttosto la capacità di realizzare coesione sociale e di esprimere un’identità come geo-comunità economica e culturale. Questo può accedere solo promuovendo governanance sperimentali che vedono una pluralità di portatori di interessi (stakeholder) e portatori di risorse (assetholder) cooperare per restituire agli spazi un valore d’uso prima che un valore economico.

Una opportunità unica per le policy locali

È evidente che questa ridefinizione del sistema di incentivi nel segno di una maggior attenzione alle reti sociali e alle comunità rappresenta un’opportunità unica per le policy locali, che vedrebbero ampliarsi lo spazio di opportunità per promuovere nuove forme di partenariato pubblico privato più inclusive e nelle quali la centralità della valutazione e dell’impatto sociale diventa la caratteristica emergente di una convergenza di intenti o almeno di necessità. Diventa perciò indispensabile passare da una progettualità basata sull’ “accountability dei processi” ad una visione ancorata all’identificazione ex ante di indicatori d’impatto sociale poichè ciò che si vuole stimolare non è tanto l’esecuzione di una sequenza programmata di azioni, quanto la trasformazione di un contesto socio-culturale.

L’interpretazione politica di questa opportunità richiede in primo luogo che si operi all’intersezione tra politiche sociali, urbane e dell’innovazione, con un modello di interventi integrati e interdisciplinari capaci di superare la storica compartimentazione dell’amministrazione locale. Se è pur vero che le operazioni di rigenerazione hanno storicamente integrato la dimensione progettuale urbanistica e sociologica, meno comune è l’integrazione con uno sforzo di progettazione economica e industriale che metta al centro le risorse imprenditoriali delle reti sociali e delle comunità su scala locale. Tale sforzo di progettazione integrata si deve confrontare poi, con la natura sistemica, complessa e non lineare delle dinamiche connesse ai processi di rigenerazione urbana nelle aree periferiche. In questo contesto, infatti, il determinismo e l’assunzione di linearità stimolo-effetto che caratterizzano le politiche di sostegno alle imprese sono incompatibili con l’obiettivo di favorire la creazione valore economico su cui basare le operazioni di rigenerazione nelle aree periferiche.

Premessa di ogni azioni di rigenerazione diventa perciò la creazione di un contesto abilitante e di un ecosistema coeso di attori capaci di co-produrre con la comunità luoghi e soluzioni utili al ben-essere dei cittadini. È forse l’inizio di una nuova generazione di politiche generative a sostegno dell’innovazione, politiche che misureranno il loro impatto nella capacità di convertire “beni e risorse private” in opportunità e lavoro per il bene comune.


Riferimenti

Ruckstuhl A., Lipparini F., Addarii F. (2015), Social outcome-based regeneration: a new vision for the renewal of our cities, Plus Value

Sennett R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli