Sul numero 6/2017 di Welfare Oggi si parla di Habitat Microaree, iniziativa che a Trieste ha messo insieme il Comune, l’Azienda sanitaria, l’ATER, le organizzazioni di Terzo Settore e i cittadini per realizzare interventi di empowerment in 13 microaree della città, corrispondenti a comprensori di edilizia popolare ad alta densità abitativa. In ciascuna area è nata una sede dove si sviluppano idee e servizi che aiutano a costruire comunità in grado di identificare i propri bisogni e attivarsi per rispondervi.
Introduzione
Habitat Microaree (HM) è un programma di promozione del benessere e della coesione sociale promosso in forma congiunta dall’Area Sociale del Comune di Trieste, dalla locale Azienda sanitaria e dall’Azienda territoriale per l’Edilizia residenziale (ATER) con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita degli abitanti residenti in alcuni rioni della città di Trieste che presentano una forte concentrazione di disagio sociale. Il programma, avviato alla fine degli anni Novanta, si propone di intervenire in tali aree con un insieme di attività finalizzate a promuovere la salute pubblica, che secondo quanto indicato dall’OMS con la Carta di Ottawa (1986) comprendono sia interventi rivolti a rafforzare le capacità e le abilità dei singoli individui sia azioni volte a modificarne le condizioni sociali, ambientali ed economiche. Il Programma mira quindi a sviluppare un insieme di azioni coerenti e tra loro organiche in cinque settori: sanità, educazione, habitat, lavoro e democrazia locale.
La partecipazione attiva dei cittadini e dei gruppi e la diffusione delle responsabilità tra istituzioni, cittadini, cooperative sociali, associazioni, organizzazioni no profit, soggetti collettivi che insistono in un determinato territorio rappresentano il cuore del programma Habitat Microaree (HM).
Contesto: le periferie urbane
Il progetto HM si sviluppa a Trieste, città di 204.420 abitanti che dal punto di vista socio-demografico si caratterizza per un forte invecchiamento della popolazione, una rilevante frammentazione delle famiglie e una discreta presenza di cittadini stranieri. Si tratta, infatti, di una delle città italiane con la presenza maggiore di anziani: nel 2015 gli ultrasessantacinquenni erano il 28,3% della popolazione contro il 21,7% in Italia. Al tempo stesso si registra un’elevata presenza di famiglie uni-personali, spesso composte da anziani soli, in particolare di genere femminile. In questo contesto, anche i servizi sociali registrano un numero rilevante di utenti over 65, che nel 2015 erano 3.351, pari al 32,9% del totale delle persone in carico al servizio sociale. In particolare, l’elevata presenza di grandi anziani comporta un incremento delle situazioni di fragilità con utenti spesso in situazione di isolamento e con difficoltà economiche, condizioni che influiscono in modo rilevante anche sulle determinanti di salute della popolazione.
Un altro fenomeno che caratterizza il territorio cittadino è il costante incremento di cittadini stranieri, che nel 2015 costituivano circa il 10,1% dell’utenza dei servizi sociali: questi cittadini sono spesso coloro che hanno risentito maggiormente delle difficoltà occupazionali generate dalla crisi socioeconomica che ha interessato anche la città di Trieste, seppur in misura minore rispetto ad altri territori dove il settore dei servizi è meno diffuso.
Accanto a ciò si evidenzia anche il generale cambiamento dei modelli famigliari sempre più orientati verso famiglie meno numerose, più instabili e con reti sociali più frammentate. Come è facile immaginare, le problematiche fin qui descritte si acuiscono nelle aree cittadine nelle quali sono presenti elevate concentrazioni di alloggi di edilizia abitativa pubblica, dove gli operatori dei servizi sociali registrano la presenza incrociata di problemi abitativi e socio-sanitari. Infatti, in alcuni casi si tratta di complessi residenziali di vecchia costruzione, non sempre accessibili a persone con ridotta mobilità e al tempo stesso con un’elevatissima presenza di anziani. In altre situazioni, dove gli edifici sono più recenti, vi sono nuclei familiari più giovani, con una discreta incidenza di minori e numerosi fenomeni di devianza ed emarginazione sociale. In generale, inoltre, è necessario tener presente che spesso il problema abitativo, per cui viene richiesta l’assegnazione di un alloggio popolare, è spesso accompagnato da situazioni di bisogno multiforme. Le dinamiche fin qui descritte hanno delle conseguenze rilevanti in termini di impegno dei servizi sociosanitari, che nel tempo hanno approntato per le aree cittadine individuate una serie di interventi preventivi finalizzati a organizzare i servizi in un’ottica territoriale (Bifulco, 2015).
Habitat Microaree
In questo contesto, nel 1998 nasceva la prima esperienza sperimentale Habitat-salute e sviluppo di comunità. Inizialmente, la sperimentazione è stata avviata in cinque aree suburbane della città, che corrispondevano ad altrettanti comprensori di edilizia popolare ad alta densità abitativa e interamente gestiti dall’ATER, in cui si registravano situazioni conclamate di disagio sociale.
In questi rioni erano forti lo scoraggiamento e la sfiducia nei confronti delle istituzioni. Fin dal principio si è cercato di adottare un approccio finalizzato a promuovere il lavoro di comunità, rafforzando la partecipazione attiva e la resilienza di cittadini, gruppi, associazioni nell’affrontare le problematiche sociali, sanitarie e sociosanitarie. I conclamati fattori di rischio che caratterizzavano alcune aree della città (elevata incidenza della popolazione anziana, situazioni di disagio sociale dovuto alla presenza di caseggiati di edilizia popolare, scarsa partecipazione dei cittadini alla vita della comunità, ecc.) sono stati quindi affrontati attraverso un’azione collettiva e una visione condivisa di ampio respiro, resa possibile dalla collaborazione continuativa tra diversi enti (Comune, Azienda sanitaria, Ater), dal coinvolgimento dei cittadini e dall’esperienza matura e consolidata del Terzo settore, cooperative sociali ed associazioni in primis.
Ad oggi, il Programma Habitat- Microaree è stato rafforzato e interessa 13 aree cittadine (microaree) corrispondenti a comprensori di edilizia popolare ad alta densità abitativa in cui risiedono complessivamente 7.982 abitanti distribuiti in poco più di 4.221 alloggi; le dimensioni dei diversi complessi sono variabili da circa 500 a 2.500 abitanti. In linea con i dati sociodemografici precedentemente evidenziati, il 20% dei residenti negli alloggi in cui è presente HM ha tra i 65 e i 74 anni, mentre gli over 75 sono il 14%. Il 46% dei nuclei familiari residenti è composto da una sola persona e il 61% dei contratti di locazione è stato stipulato con intestatari con bassa capacità economica (ovvero inferiore a 15.617€). Infine, il 12% dei residenti è di cittadinanza straniera.
Dal punto di vista dei servizi erogati, l’ultimo assetto organizzativo – attualmente in fase di implementazione – prevede la presenza del Comune, sia con proprio personale sia affidando alle cooperative sociali La Quercia e Duemilauno Agenzia Sociale in tutte e tredici le zone i servizi di presa in carico di singole persone e nuclei familiari, animazione territoriale, interventi di orientamento e consulenza ai cittadini e a gruppi di persone. L’Azienda sanitaria è presente in tutte le aree con un infermiere professionale a tempo pieno (Referente di Microarea), mentre gli sportelli di Portierato Sociale dell’Ater, rivolti specificatamente ai propri inquilini per offrire informazioni e raccogliere segnalazioni sulla situazione abitativa e manutentiva sono gestiti dalla cooperativa sociale La Quercia e sono presenti in dieci aree territoriali HM.
L’obiettivo generale di HM è quello di migliorare la qualità della vita degli abitanti delle 13 aree urbane disagiate individuate; si configura come un programma di politica attiva, che si propone di intervenire congiuntamente sui contesti di vita e sulle persone, cercando di agire su più livelli: sociale, sanitario e abitativo. A tal fine è stata fondamentale nel corso degli anni la collaborazione tra i tre enti istituzionali coinvolti. Inoltre, si evidenza come, con il Protocollo di Intesa siglato nel 2011, il Comune di Trieste si sia impegnato a potenziare la propria partecipazione coinvolgendo attivamente non solo l’Area Sociale, ma anche l’Area Edilizia-Lavori pubblici e l’Area Educativa. In quest’ottica, gli obiettivi di HM riguardano una complessità di aspetti legati sia all’organizzazione e all’erogazione dei servizi, sia più in generale all’attivazione di processi di empowerment e inclusione.
Metodologia: un laboratorio territoriale tra scelte partecipate e sviluppo
Da un punto di vista operativo, il contesto in cui opera il programma HM è quello della microarea, che per la sua vicinanza ai cittadini meglio permette di individuare le problematiche economiche, sociali e fisiche, che spesso nel concreto appaiono intrecciate le une con le altre. Nel complesso, l’approccio adottato è quello dello sviluppo di comunità, che cercando di superare i limiti del welfare tradizionale punta a far incontrare a livello “micro” la domanda di servizi e le risorse pubbliche e private e impegna i cittadini, con al fianco le istituzioni, a mettersi in gioco diventando loro stessi la risposta ai bisogni da loro stessi evidenziati.
Concretamente per ciascuna zona HM sono stati individuati degli spazi multifunzione (sedi HM), in cui vengono svolte le diverse attività e che viene usato anche come luogo di aggregazione e di scambio di esperienze. Questi spazi si configurano come veri e propri “laboratori territoriali” in cui le esigenze, spesso, trovano risposta grazie all’attivazione degli stessi cittadini. Volontari e residenti sono coinvolti in molteplici attività affinché, nel tempo, ne diventino i veri e unici protagonisti.
In queste sedi, in parte gestite in modo congiunto tra Azienda sanitaria e Comune, in parte organizzate in modo separato, trovano spazio sia interventi mirati di accompagnamento e sostegno alle persone e alle famiglie in difficoltà sia azioni – a carattere maggiormente estensivo – finalizzate ad attivare la comunità. Tra i primi un ruolo rilevante è ricoperto dal sistema accoglienza, portierato sociale e attività domiciliare, che assolve al compito di ascolto della cittadinanza, di prima rilevazione dei bisogni e delle problematicità, nonché di supporto concreto nell’individuazione delle risposte più opportune. Inoltre, il portiere sociale funge da intermediario tra i cittadini e le istituzioni, permettendo di raccogliere istanze ed elementi utili per migliorare i servizi. Accanto a queste attività vengono realizzati anche interventi a domicilio finalizzati al sostegno delle persone e delle famiglie nell’ottica di prevenire situazioni di disagio sociale conseguenti a solitudine e isolamento: visite di compagnia agli anziani e a persone e famiglie in difficoltà, piccoli servizi (ad es. portare a casa la spesa o le medicine), accompagnamenti (ad es. per visite mediche), disbrigo pratiche. Per quanto riguarda, invece, le azioni di sostegno allo sviluppo di comunità, esse sono dirette a favorire esperienze di solidarietà, promozione sociale e partecipazione e comprendono ad esempio iniziative ricreative, culturali o sportive realizzate nel quartiere e nelle quali è spesso previsto l’accompagnamento e l’inserimento delle persone svantaggiate. La declinazione operativa delle attività viene svolta quotidianamente dai diversi attori coinvolti, ciascuno per le sue competenze e con geometrie diverse a seconda del target privilegiato di utenza e della tipologia di iniziative proposte.
Accanto al ruolo di rinforzo delle funzioni di carattere sociale, è importante sottolineare come la presenza costante dell’Azienda sanitaria permetta di mantenere costante il monitoraggio sanitario delle persone residenti presso le zone HM con una maggiore verifica dell’appropriatezza dell’uso dei farmaci e dell’adeguatezza delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche. Le azioni messe in campo mirano a rafforzare la tutela della salute delle persone residenti attraverso l’implementazione di azioni di proattività sanitaria; il miglioramento dell’integrazione sociosanitaria nei percorsi di cura; la promozione del coordinamento tra servizi diversi; il rinforzo della domiciliarità; la riduzione dei ricoveri ospedalieri. Nelle Microaree sono attivi anche ambulatori di prossimità dove vengono svolte attività sanitarie quali la diffusione e l’addestramento al self-care.
La valutazione complessiva delle attività avviene attraverso un momento di confronto mensile per ciascuna microarea: questi incontri, denominati GTT (Gruppo Tecnico Territoriale) e previsti dal Protocollo di Intesa tra gli Enti, vedono la partecipazione di tutte le componenti del territorio considerato e sono finalizzate a verificare e coordinare procedure e modalità operative. Essi sono funzionali all’organizzazione dei diversi livelli su cui agisce il programma Habitat-Microarea: da un lato, infatti, permettono la segnalazione reciproca dei soggetti che necessitano di una presa in carico integrata da parte dei servizi socio-sanitari (a tal proposito viene costantemente aggiornato per ciascuna microarea l’elenco degli utenti fragili), dall’altra permettono il coordinamento delle azioni finalizzate allo sviluppo di comunità realizzate in rete con altri soggetti del territorio.
Habitat Microaree: esperienze di comitati di quartiere, biblioteche diffuse, pranzi condivisi
Alcuni esempi di percorsi ed attività che HM sviluppa da tempo, grazie alla partecipazione delle persone residenti, in varie aree cittadine, sono certamente quelli dei Comitati di quartiere, delle biblioteche diffuse, dei pranzi condivisi.
Comitati di quartiere, dalla denuncia alla partecipazione attiva
I comitati di quartiere, presenti in alcune aree HM, sono sempre partiti da una necessità di denuncia o protesta da parte dei cittadini (ad esempio per l’abbattimento di alberi, per questioni relative alla gestione degli spazi comuni dei complessi abitativi Ater, per la presenza di stranieri nei quartieri, ecc.); tali istanze sono poi in molti casi approdate in un contesto organizzato di collaborazione con le istituzioni e con i diversi attori presenti sul territorio per migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
Stare a fianco delle persone, senza giudicare, per aiutarle ad essere risorsa per se stessi e per la comunità in cui vivono è stato ed è un tratto caratterizzante di HM. Aiutare le persone a trasformare la loro rabbia, spesso frustrazione, di fronte alla lentezza delle istituzioni, in una proposta che le veda protagoniste, è il ruolo che gli operatori hanno in HM e che porta al rafforzamento delle competenze delle persone; competenze che poi vengono messe a disposizione di altre persone e dell’intera comunità. Ecco, allora, il Comitato di quartiere che si fa carico di tutta una serie di attività finalizzate a migliorare I’habitat urbano, ad esempio. Inoltre, all’interno di queste esperienze sono state avviate anche molte iniziative auto-organizzate: attività ludiche rivolte a minori e gestite da gruppi di mamme, doposcuola curati da volontari, attività motorie rivolte agli adulti-anziani della zona. In questo modo, il processo di sviluppo dei Comitati di quartiere (oggi continuano ad esisterne ed operare due, un terzo si attiva su specifiche situazioni di interesse per la comunità territoriale) ha portato a compimento fondamentalmente tre dimensioni: essere utile cassa di risonanza per le persone per cui risulta difficile parlare ed esporsi in pubblico; sollecitare le istituzioni a rivedere le loro prassi avvicinandosi maggiormente alle comunità territoriali più periferiche; favorire la crescita personale (self empowerment) all’interno di una crescita della comunità (empowerment), facendo sì che le persone passino dall’essere parte del problema all’essere parte attiva delle risposte allo stesso.
Biblioteche diffuse, strumenti partecipati per la diffusione di cultura
Una delle iniziative più recenti messe in campo da HM in due aree territoriali è la biblioteca diffusa; consiste nell’attrezzare uno spazio interno al rione, di fatto in questi due casi coincidente con la sede HM messa a disposizione dall’Ater, come biblioteca, raccogliendo libri e affidando a residenti la gestione dello spazio culturale. La biblioteca diffusa diventa parte della rete comunale delle biblioteche diffuse e utilizza il software e il sistema di catalogazione dei libri utilizzato dal Comune. I cittadini impegnati in questa iniziativa partecipano ad un percorso formativo organizzato sempre dal Comune. Queste sono le azioni per poter attivare questi piccoli e vitali centri di cultura, in rioni periferici, con lo scopo di favorire percorsi di partecipazione attiva delle persone residenti affinché queste, a loro volta, sviluppino percorsi culturali per l’intera comunità. Le biblioteche diffuse sono quindi strumenti di emancipazione delle persone e delle comunità utili, anche, per contrastare lo stigma che spesso si trovano addosso.
Pranzi condivisi, dal contrasto all’isolamento delle persone al soddisfacimento di bisogni primari
I pranzi condivisi sono una pratica diffusa sin dalla prima ora di Habitat, quando ancora il Programma non era arricchito dalla parte preminentemente sanitaria. Il momento del pasto, meglio di altri momenti della giornata, si è dimostrato subito particolarmente adatto per aggregare le persone, spesso in condizioni di particolare fragilità, abituate a consumare da sole il pranzo ed ha trovato subito riscontro positivo in buona parte delle aree HM in cui è stato proposto. Col passare del tempo e con l’aggravamento delle condizioni socio-economiche delle persone, specie negli ultimi sette-otto anni, questo intervento ha in parte cambiato alcuni connotati divenendo per alcuni occasione per avere almeno un pasto nel corso della giornata.
Anche questa flessibilità, nel cambiare obiettivi e modalità organizzative conseguenti, è uno degli elementi caratterizzanti di HM che muta e si adatta ai cambiamenti ed alle necessità che i rioni evidenziano. La partecipazione dei cittadini e l’inclusione, in ogni caso, continuano a caratterizzare anche questi momenti di forte prossimità; infatti l’organizzazione dei pranzi è frutto, spesso, di un composito mix di collaborazione tra persone residenti, operatori sociali, volontari del servizio civile, volontari di associazioni, persone in percorsi di inserimento lavorativo.
I pranzi condivisi periodicamente diventano anche occasione per incontrare, in particolare in un rione, personalità ed esperti di vari temi (violenza sulle donne, carcere e misure alternative alla detenzione, alcol e droghe, accoglienza e persone richiedenti asilo, ecc.) che, a tavola, si confrontano con i cittadini su quanto viene messo in campo e quanto si potrebbe ancora fare, rispetto ai temi trattati. Il cittadino che ritrova motivazione a vivere, ad impegnarsi, cucinando e più in generale occupandosi dei pranzi a favore di persone facenti parte della sua stessa comunità territoriale, rappresenta il risultato forse più importante di questa forma di partecipazione attiva.
Effetti di HM
HM in quasi vent’anni di attività ha consolidato la sua presenza nel territorio, tanto che un’analisi valutativa svolta dal Comune di Trieste nel 2011, basata su interviste ad abitanti nelle zone HM, metteva in luce come il programma fosse conosciuto da più del 60% del campione. Inoltre, un tempo di applicazione così ampio permette oggi agli attori coinvolti di fare un’analisi di lungo periodo: a tal proposito, sono state e si stanno conducendo apposite analisi; attualmente l’Università di Torino – Dipartimento di Culture, Politica e Società sta conducendo un approfondimento sugli effetti di HM, in particolare rispetto al capitale sociale dei singoli individui. In generale tali analisi, condivise tra cittadini, operatori dei tre enti pubblici coinvolti e del terzo settore, mettono in luce come vi sia un miglioramento della vivibilità delle aree coinvolte nel programma HM. In particolare, viene evidenziato come le numerose attività di prossimità e i portierati sociali abbiano contribuito a creare relazioni interpersonali tra i residenti più collaborative e positive e a facilitare i rapporti con le istituzioni.
Un sistema di relazioni migliori, indubbiamente, motiva maggiormente le persone residenti ed i gruppi di persone, spesso informali, a partecipare attivamente alla vita ed alle scelte della loro casa e del loro rione. Le attività di prossimità sono presenti in tutti i quartieri target. Si tratta di attività che, grazie al supporto diretto di singoli cittadini, ma anche di esercenti commerciali, permettono di monitorare e intercettare le situazioni di fragilità dando risposta con le risorse della comunità stessa, quali ad esempio il negoziante che porta la spesa a domicilio, l’idraulico che si offre per piccole riparazioni, l’accompagnamento ad eventi di socializzazione da parte di cittadini volontari dei singoli rioni (ad es. mercatini, serate informative, musicali, piccole gite, ecc.), la raccolte e gli scambi di vestiario usato a favore di nuclei familiari disagiati, ecc. Negli anni, sono state implementate anche esperienze che hanno cercato di rafforzare i rapporti intergenerazionali tra i residenti e che si sono concretizzate in momenti ludici, in attività che hanno permesso l’abbellimento del quartiere con pitture, orti sociali, ecc.
Gli animatori di comunità sono inseriti nel contesto operativo di servizi e interventi HM come “consulenti” della comunità, disponibili ad accompagnarla nei percorsi che essa stessa ritiene più utili per se stessa e per le persone che la compongono. Si sono diffuse iniziative tese a favorire l’invecchiamento attivo basate sulla partecipazione, la socializzazione, lo sviluppo del benessere psico-fisico, l’auto-aiuto. Inoltre, in alcune microaree si è sperimentata l’apertura delle sedi anche nelle ore serali e nelle giornate festive, in cui in alcuni casi vi è la presenza di operatori, mentre in altri la gestione è lasciata ai residenti.
Un’ulteriore ricaduta positiva la sperimentazione di servizi e interventi a volte innovativi. Negli anni, ad esempio, accanto alle numerose attività preventive e promozionali descritte nei precedenti paragrafi, sono state avviate diverse forme di domiciliarità che garantiscono la permanenza il più a lungo possibile presso il proprio domicilio di persone in grave difficoltà e convivenze tra persone fragili come anziani e persone con disabilità in coabitazioni solidali, sostenute anche grazie alla presenza di associazioni di volontariato. Tali esperienze sono state realizzate con maggiore facilità nelle aree in cui negli anni era stato implementato HM e in cui il tessuto sociale è più ricco e attento a tali proposte. HM ha favorito l’operatività dei Protocolli di Integrazione sociosanitaria tra Servizio sociale comunale e Azienda sanitaria, e tra questi e l’Ater, facilitando i rapporti tra le istituzioni anche grazie ad un incremento della reciproca conoscenza tra gli operatori.
Naturalmente non tutto è risolto e privo di difficoltà, anche nella relazione tra le diverse istituzioni, ma la strada intrapresa con HM sembra essere quella giusta. Forse la ricaduta più positiva di HM, come evidenziato in più punti, è rappresentata da comunità territoriali più abituate a partecipare alla vita del rione, a contribuire al suo ben-essere. Il senso di appartenenza e la volontà di autodeterminazione spesso hanno come esito “domande più competenti” che le stesse comunità (si) pongono e a cui contribuiscono a dare risposta.
Conclusioni
Le attività sviluppate all’interno del Programma HM rappresentano per la città di Trieste una risorsa consolidata; grazie ad esse i servizi territoriali sociali e sanitari riescono a restare in contatto con i bisogni, approntando risposte più adeguate. I portierati sociali e le sedi HM costituiscono dei laboratori territoriali che rispondono ai bisogni dei residenti attraverso un duplice livello: il presidio di operatori qualificati come consulenti della comunità e la presenza attiva dei cittadini. Lo sviluppo di processi di empowerment quindi rappresenta un fattore di crescita delle persone e dei territori e una risposta possibile per favorire contesti abitativi più sani, inclusivi e coesi.
Una frontiera che potrebbe essere certamente più esplorata con HM è quella della comunicazione, per confrontare pratiche di inclusione e sviluppo locale e per abbattere stigma e stereotipi che pesano su persone e comunità. Da questo punto di vista, nel corso del 2016/2017 in un’area territoriale in cui è attivo il programma HM una produzione cinematografica ha girato un film, Babylon Sisters, sul tema dell’accoglienza e dell’integrazione tra diverse etnie in un rione popolare. Persone residenti e operatori sono diventati attori e spettatori; un rione di periferia, almeno per un po’, è diventato centro. Anche questo è Habitat Microaree, salute e sviluppo delle comunità.
Bibliografia
Bifulco L. (2015), Il welfare locale. Processi e prospettive, Carocci, Roma.
OMS (1986), Carta di Ottawa per la promozione della salute, Ginevra.