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La Conferenza Generale del Welfare promossa dalla Città di Torino ha proseguito i suoi lavori con un nuovo laboratorio tematico (dopo quelli di febbraio su “Le funzioni di tutela dell’Ente locale: bisogni e risorse” e su “Abitare – nuove risposte per nuovi bisogni”) su welfare, lavoro e sviluppo. Anche in questa occasione il laboratorio ha visto una ampia partecipazione di pubblico ed è stata l’occasione per riflettere di questo rilevante tema con esponenti del mondo industriale, delle parti sociali e della cooperazione. Erano infatti presenti Mauro Zangola, Responsabile Ufficio Studi dell’Unione Industriali di Torino, Nanni Tosco, Segretario generale CISL di Torino, Fabrizio Ghisio, Segretario provinciale di Confcooperative Torino, e Franca Maino che dirige il Laboratorio sul secondo welfare in Italia, ricercatrice presso il Dipartimento di Studi del Lavoro e del Welfare dell’Università degli Studi di Milano. Il laboratorio, moderato dall’Assessore al Welfare e politiche sociali Elide Tisi, si è concluso con l’intervento di Tom Dealessandri, Vice-sindaco con delega al lavoro e allo sviluppo.

Il punto di partenza di questa riflessione su lavoro e sviluppo sono le risorse pubbliche sempre più scarse che rendono impossibile mantenere immutato l’attuale sistema di welfare. Molte sono le questioni aperte su cui è necessario fare una riflessione per arrivare a proporre soluzioni di policy innovative. Tra queste se si debba andare nella direzione di una riduzione dei servizi per continuare a garantirli a tutti o se si debba puntare a garantire servizi/risorse solo per lo strato più fragile della popolazione. Questa domanda chiama in causa l’individuazione e definizione delle prestazioni da porre a carico del sistema pubblico. E ancora: come non scaricare i costi della riduzione delle risorse e dei servizi finanziati dal sistema pubblico solo su imprese, lavoratori e famiglie? Come mantenere un livello anche minimo di occupazione e di ammortizzatori sociali per non far gravare sul sistema di welfare locale costi che esso non può più sostenere?

Zangola, nel suo intervento, ha proposto un’analisi dei principali processi di crescita e sviluppo dell’area torinese. Di seguito alcuni dei dati più interessanti che sono stati presentati e discussi. Con riferimento all’andamento della produzione industriale sono evidenti gli effetti della crisi del 2008 che ne ha determinato una forte diminuzione. Alla crisi degli occupati nel settore industriale, negli ultimi due anni, si è affiancata anche la crisi del settore dei servizi che non riesce a creare occupazione e questo è un dato preoccupante se si considera che nella provincia di Torino circa il 70% della produzione riguarda il terziario. Per quanto riguarda i tassi di natalità e mortalità delle imprese torinesi, nel 2011 per la prima volta il saldo è risultato negativo, senza contare che il numero di imprese che contano solo uno o due dipendenti sono nettamente la maggioranza. Anche il reddito pro capite è diminuito per quanto oggi Torino riesca ancora a mantenersi sopra la media nazionale. Secondo Zangola questo è comunque un segnale di ridotta competitività del mercato del lavoro rispetto al passato. Per fronteggiare queste trasformazioni e per rilanciare la crescita e soprattutto l’occupazione giovanile Zangola avanza come proposta quella di un grande progetto che sul fronte interno punti su fattori come l’attrazione di investimenti; l’orientamento; la formazione all’imprenditorialità e incentivi alla crescita per le nuove imprese; e non meno importante che si preveda un piano di comunicazione rivolto alla cittadinanza e agli stekolders coinvolti.

Nel secondo intervento, Fabrizio Ghisio si interroga sulla tenuta del modello di crescita e sviluppo della città ma anche sul modello di welfare in relazione al ruolo delle cooperative. Si sta sperimentando a Torino una caduta occupazionale e anche una caduta di tipo salariale: salari più bassi per i dipendenti pubblici e in una fase di crisi questo incide e mette a rischio la coesione sociale. La crisi deve portare gli operatori del privato sociale a porsi il problema della competitività rispetto alla capacità di offerta di servizi di welfare e sotto questo profilo anche Ghisio sottolinea la rilevanza della messa a punto di misure condivise attraverso un patto di solidarietà tra attori pubblici e privati per non ridurre l’offerta di servizi e per non aumentare il costo del lavoro. Un patto finalizzato a superare questa fase di crisi in attesa che l’economia torni a crescere. Molte potrebbero essere le misura da mettere in campo: aumentare di due le ore di lavoro senza un corrispondente aumento salariale; introdurre elementi di flessibilità; puntare sulla formazione e rilanciarla anche in connessione alla valorizzazione dei corsi di laurea; sottrarre al privato il mercato delle badanti ricorrendo alle imprese sociali e a nuove forme di cooperative; prevedere (a livello nazionale) agevolazioni fiscali per le famiglie che necessitano di questo tipo di prestazioni.

Nanni Tosco apre il suo intervento sottolineando come ci si trovi non in un’epoca di cambiamenti ma di fronte a un “cambiamento d’epoca”. Ovvero di fronte ad uno snodo destinato a produrre cambiamenti strutturali e di lungo periodo che spingono a definire in un’ottica lunga priorità e nuove strategie di intervento. I principali indicatori dell’andamento del mercato del lavoro, a partire dal tasso di disoccupazione, sono rimasti sotto controllo grazie al sistema di ammortizzatori sociali che ha impedito la fuori-uscita dei lavoratori dal mercato. Ma questo non potrà più durare a lungo. Questo ragionamento chiama in causa la tenuta del welfare pubblico. Tosco sottolinea qui che c’è molta confusione tra diritti e tutele e che difendere i diritti universali non vuol dire che le tutele attualmente garantite siano intoccabili o che le tutele debbano necessariamente essere uguali per tutti. C’è quindi margine per interventi di ridefinizione del welfare pubblico e spazio per incentivare il dialogo tra un welfare del mercato e il welfare pubblico. Anche Tosco chiude il suo intervento avanzando la proposta di un grande patto di cooperazione per rilanciare le politiche attive del lavoro definendo prioritariamente su quali investimenti sia opportuno puntare nell’area torinese.

Franca Maino inquadra la crisi dei sistemi di welfare facendo fuoco sugli indicatori del mercato del lavoro a livello nazionale e individua nello sviluppo sinergico di misure e iniziative di secondo welfare un sentiero virtuoso. Per comprendere se e come vi sia spazio per attori non pubblici nel garantire l’offerta di servizi e prestazioni di welfare Franca Maino si sofferma ad illustrare il caso di Unidustria Treviso e il progetto Fare insieme 2012 di promozione del welfare aziendale e territoriale e il patto artigiani e CISL siglato a livello lombardo nel febbraio 2012, accordo che contiene importanti novità in materia di welfare aziendale.

“In passato, durante le crisi, la spesa pubblica continuava a crescere; oggi questo non è più possibile e ora i dati ci dicono che la spesa pubblica si va contraendo e non potrà tornare a crescere neanche quando si uscirà dalla crisi”: con queste parole si apre l’intervento conclusivo del Vice-sindaco Tom Dealessandri. Che passa poi a sottolineare come la città di Torino abbia già iniziato a mettere in campo delle soluzioni per fronteggiare la crisi e abbia anche avviato una riflessione strategica sulla direzione da intraprendere. Di cruciale importanza è mettere in connessione lavoro, welfare e sviluppo lavorando in modo trasversale tra assessorati. Fino a quando non si esce dalla crisi bisogna partecipare tutti alla gestione dell’emergenza, non solo il settore pubblico. E poi è necessario puntare sull’innovazione non avendo preclusioni sulle risorse e le misure da implementare per reperire finanziamenti; sul ventaglio di attori da coinvolgere; sulla messa in campo di incentivi per spingere il privato ad investire sul sociale dove sia chiaro che il pubblico (locale) deve continuare comunque a fare la sua parte.

In conclusione possiamo dire che questi laboratori hanno rappresentato la prima tappa di un discorso più ampio volto a comprendere la fattibilità di un welfare a fonti ed attori plurali che, oltre al pubblico, solleciti anche la sussidiarietà, la responsabilità sociale d’impresa, la dimensione negoziale e quella associativa e sappia rivolgersi anche verso il mercato. Un sistema di welfare a fonti e attori plurali potrebbe vedere tra i suoi attori lo Stato, gli Enti Locali, le Associazioni artigiane e professionali, le Associazioni industriali, le Organizzazioni sindacali, il Terzo settore, i Fondi mutualistici, le Fondazioni bancarie. E potrebbe trovare risorse derivanti dalla fiscalità generale, da tasse di scopo, dalle risorse delle famiglie e da risorse delle imprese, dalle fondazioni, dalla contrattazione sindacale, dalla mutualità associativa. In questo sistema quale ruolo di promozione e di governance dovrebbe avere l’istituzione locale per garantire opportunità di accesso e complementarietà tra welfare pubblico e welfare privato rimane da definire ma è certamente un obiettivo imprescindibile.

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