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A Parma le associazioni di volontariato hanno costruito una rete di welfare che non solo offre sostegno alle famiglie – e più in generale, a tutti i cittadini -, ma promuove benessere, lavorando sulle relazioni, sul lavoro di comunità e sulla cittadinanza attiva. Il presupposto è di creare una rete che superi l’idea della famiglia come “presidio da accudire”, favorendo invece un approccio in cui le famiglie stesse, in modo attivo, individuino problemi e offrano soluzioni.

La rete prevede tre laboratori di tipo familiare, dislocati su diverse aree della città: Laboratorio al Portico, coordinato dall’associazione di volontariato “Compagnia In…Stabile”; Laboratorio Oltretorrente, realizzato e coordinato dalle Associazioni Famiglia Più Onlus e LiberaMente; Laboratorio San Leonardo-San Martino, realizzato dall’Associazione Solidarietà in collaborazione con l’Associazione Azione per Famiglie Nuove. Tutti i laboratori sono realizzati in collaborazione con il Servizio Famiglia del Comune di Parma e la Consulta Comunale delle Associazioni Familiari. Accanto ai laboratori di tipo familiare, sono presenti il Laboratorio Compiti, coordinato dall’associazione LiberaMente, e il Laboratorio Gioco, istituito presso l’istituto Penitenziario di Parma allo scopo di includere e supportare tutte le famiglie, anche quelle che attraversano percorsi più difficili, come quelle dei detenuti.

Abbiamo incontrato le rappresentanti delle associazioni, che ci hanno raccontato la loro storia.


Perché nascono i Laboratori?

I Laboratori famiglia nascono tra il 2009 e il 2010 da un percorso di riflessione fatto sulla città di Parma che ha rilevato la mancanza di spazi liberi e informali per le famiglie, dove queste potessero incontrarsi, conoscersi, fare amicizia e svolgere attività insieme. In sostanza, coltivare le relazioni e instaurare nuovi legami. Da un po’ di tempo infatti è venuta a mancare quella rete di “buon vicinato” che in passato permetteva alle persone di aiutarsi in modo spontaneo e reciproco; questo sia perché i movimenti migratori, anche interni, creano meno stabilità nei rapporti – i nostri vicini cambiano continuamente – , sia perché l’emergere dei problemi di sicurezza ha aumentato la diffidenza delle persone. Questi laboratori infatti funzionano bene perché sono “zone franche” dove non devi aprire subito la tua porta, lo puoi fare in un momento successivo. Qui le persone prima si conoscono, poi possono instaurare relazioni di amicizia. Inoltre l’accesso è libero e gratuito, non serve un’iscrizione, la porta è sempre aperta.


Quali sono le finalità? In cosa questi laboratori si differenziano dalle esperienze più tradizionali?

I laboratori hanno diverse finalità: innanzitutto fare uscire le famiglie dall’isolamento, costruendo nuove relazioni tra individui, famiglie e associazioni, in quanto uno dei problemi più seri, al momento, è la povertà relazionale.

In secondo luogo costruire solidarietà e benessere grazie a nuove modalità basate sul welfare generativo e sul lavoro di comunità. Nel laboratorio si creano relazioni di prossimità che permettono alle persone di sostenersi reciprocamente a fronte di alcune difficoltà nella vita quotidiana e, allo stesso tempo, di offrirsi come risorsa, attivando un circolo virtuoso positivo. Le persone che vengono qui, infatti, spesso da fruitori diventano a loro volta una risorsa, offrendosi come volontari, proponendo iniziative e coinvolgendo altre persone, fino a divenire responsabili di alcune attività e della parziale gestione dello spazio. Così facendo divengono cittadini attivi, non solo utenti passivi di un luogo d’incontro. Spesso individuano loro stessi dei bisogni, un aspetto importante perché non sempre dall’esterno si riescono a individuare le necessità reali delle persone.

Le tematiche che affrontiamo sono: percorsi di cittadinanza attiva, incontro tra generazioni, costruzione di legami interpersonali, intercultura, amicizia e solidarietà, accoglienza, ascolto, conciliazione dei tempi di cura e di lavoro, mutuo-aiuto, affiancamento e sostegno alla genitorialità, orientamento e messa in rete delle diverse realtà del terzo settore.


Come operano concretamente?

Si tratta di progetti complessi che comprendono tutte le problematiche, fragilità, generazioni, ecc. Attraverso gli strumenti dell’ascolto e della relazione, si fa un’analisi del contesto del quartiere, dei bisogni che ha e di cosa può offrire in termini di servizi, associazioni e reti informali. Andiamo a lavorare in un luogo, cerchiamo le “risorse nascoste” e le portiamo all’esterno. Prendiamo un finanziamento materiale e lo trasformiamo in risorse umane, cittadinanza attiva e partecipazione.

I laboratori infatti sono luoghi di cui ognuno può avere cura, luoghi che possono essere vissuti da tutti coloro che sono predisposti ad imparare gli uni dagli altri a fare qualcosa insieme per migliorare la vita nel quartiere in cui abitano. Facciamo quindi un lavoro di rieducazione della comunità al rispetto e all’accoglienza. I laboratori infatti sono aperti a tutti, anche a coloro che hanno problemi, ma non solo, perché non è un posto di disagio, ma di ben-essere. Benessere anche per chi vive un disagio, che viene accolto e, come tutti, può mettersi in campo, diventare risorsa e costruire legami sociali, trovando nel laboratorio un punto di riferimento in cui accrescere il proprio benessere. Sta alla nostra équipe capire come e dove coinvolgerlo. Attenzione, però, a differenza dei servizi sociali non facciamo presa in carico, né di tipo medico specialistico né economico, si tratta solo di un inserimento nell’ambito della socializzazione.

In particolare, cerchiamo di lavorare contemporaneamente su fasce diverse – ad esempio tra generazioni -, creando tra esse dei punti di contatto. Se, ad esempio, incarico un ragazzo di fare regolarmente la spesa per un vicino di casa anziano, ho risolto due problemi: il ragazzo, magari disoccupato, che non sa come trascorrere il tempo e l’anziano che non ha la spesa e soffre di solitudine. Spesso inoltre succede che al Laboratorio Famiglia si stringano amicizie tra persone che, pur abitando a pochi metri le une dalle altre non si erano incontrate prima, oppure che genitori di bambini che frequentano il laboratorio si organizzino rispetto al ritiro a scuola dei propri figli. E’ un lavoro che richiede impegno, per capire come connettere le persone, predisponendo spazi ed attività.


Quali attività vengono svolte?

I laboratori hanno una programmazione trimestrale. Come detto sono costruiti sulla base dei bisogni delle persone che li vivono, di conseguenza le attività proposte variano spesso. In generale le attività sono eterogenee, in modo tale da coinvolgere tutte le diverse fasce di popolazione: ci sono attività per bambini, come i giochi all’aperto e gli atelier di pittura; per adulti, come i corsi di cucina, di cucito e di fotografia; e per anziani, come i tornei di burraco e il corso PC per over 65. Accanto a queste attività “più ludiche”, sono previsti incontri di sostegno alle famiglie e mutuo-aiuto, come gli incontri di supporto alla genitorialità (dallo svezzamento all’educazione, alla prevenzione degli incidenti domestici), o il laboratorio compiti, oltre che servizi quali lo sportello di diritto civile per questioni legali e burocratiche, fiscali o tributarie. Ci sono poi corsi che facilitano l’integrazione, come il corso di Italiano e di Arabo e, infine, eventi e attività di socializzazione, come le gite di comunità o le feste.

Come detto, le attività rispondono alle esigenze del quartiere. Ad esempio, il Laboratorio Famiglia Oltretorrente di trova in un quartiere particolare, con un passato complesso. Originariamente molto povero – era un lazzaretto – è stato prima il quartiere degli emigranti del Sud e oggi di quelli extracomunitari. Infatti possiamo dire che qui, tra i nostri cittadini, il rapporto tra italiani e stranieri è 50 e 50, un rapporto importante, che ovviamente influenza anche il tipo di attività. Allo stesso tempo però è anche un quartiere contradditorio, dove le case possono anche costare molto, e dove i residenti “di vecchia data”, oggi divenuti ceto benestante, si sentono in pericolo. Bisogna quindi lavorare molto sulla convivenza e predisporre attività che facilitino l’integrazione.

Il Laboratorio Famiglia Al Portico, invece, si trova in un quartiere popolare, divenuto quasi un quartiere dormitorio. Essendo abitato prevalentemente dal ceto medio operaio, assai colpito dalla crisi, è frequentato soprattutto dai “nuovi poveri”, gente che ha perso il lavoro e si trova improvvisamente in difficoltà. Il Laboratorio San Martino e San Leonardo, infine, accoglie i cittadini dei due quartieri popolari da cui prende nome e presenta una buona eterogeneità delle famiglie, fra queste molte sono migranti. Le attività rispondono quindi alle esigenze di età diverse delle persone e delle famiglie: dal laboratorio compiti ai laboratori di amicizia e di creatività, fino alle collaborazioni con altre sette associazioni di volontariato, presenti nello stesso storico edificio comunale e con le scuole elementari e medie. Alcune attività, inoltre, sono rivolte a promuovere una più elevata qualità di vita nella terza età.


Come sono organizzati?

Ogni laboratorio si organizza in modo autonomo, a seconda delle risorse e delle richieste del contesto in cui si trova. La mission è comune, ma ognuno ha la sua dimensione, come detto.

Attualmente sono gestiti dalle seguenti associazioni di volontariato e promozione sociale: Ass. Famiglia Più, Ass. Liberamente, Ass. Azione per Famiglie Nuove, Ass. Solidarietà, Ass. Compagnia In…Stabile. Ogni associazione è diversa per storia, missione e visione, e questo determina peculiarità specifiche all’interno di ogni Laboratorio per quanto riguarda le fasi di ideazione, progettazione e programmazione delle attività. Ogni laboratorio ha un’equipe di lavoro, composta da un coordinatore e da operatori sociali, che si riunisce una volta alla settimana e che, una volta al mese, viene allargata ai volontari che gestiscono i progetti.

Sono inoltre previsti dei momenti comuni di formazione, alcuni con l’amministrazione, il Centro per le famiglie e i servizi sociali territoriali, con cui ci confrontiamo per la programmazione e la gestione delle attività. Ogni sei mesi infine facciamo un report per l’amministrazione, sia qualitativo che quantitativo rispetto a presenze, progetti, ecc.


A chi sono rivolti? Possiamo parlare di un’”utenza” media?

In realtà non c’è una tipologia media di cittadini che partecipano ai laboratori. I laboratori sono aperti a tutti, da 0 a 99 anni, minori e disabili gravi accompagnati. In una società in cui è fortissima la distanza tra generazioni (in cui i piccoli stanno con i piccoli, gli anziani con gli anziani, le mamme con altre mamme) ed è ancora difficile l’incontro tra mondi e culture diverse, un aspetto interessante e innovativo di questa esperienza è proprio il fatto che non crea settorialità di origine, cultura, età, problemi. Salvo in alcuni casi particolari, come il corso per le donne magrebine, che è chiuso, in modo che possano sentirsi più libere di esprimersi, levarsi il velo, ecc. A volte questa eterogeneità diventa motivo di discussione “metto in tavola il vino o no?”, “Faccio entrare anche l’ubriaco o no?”, non è sempre facile fare andare d’accordo mondi diversi.

Certo, è chiaro che viene di più chi ha un bisogno, ma affinché non siano solo posti di disagio, che finiscono poi per diventare dei “ghetti”, cerchiamo di fare attività che possano agganciare anche le famiglie che hanno meno problemi.

Un modo per allargare la partecipazione, ad esempio, è quello di coinvolgere le associazioni dei quartieri facendo loro utilizzare le nostre strutture. I loro soci vengono qui a fare una riunione o un corso, intanto conoscono il posto, i nostri progetti. Cerchiamo in qualche modo di “fidelizzarli”, spronarli ad aprire le loro attività ai cittadini dei nostri laboratori, o tenere un corso per noi. Non affittiamo, non c’è un ritorno economico ma relazionale: più il laboratorio è frequentato, meglio è. Oppure, per perseguire una certa “varietà di genere”, organizziamo eventi al sabato e alla domenica, così che possano partecipare anche i papà, non solo le mamme.


Come si finanziano?

Il Comune di Parma e le Associazioni capofila firmano periodicamente una convenzione per la gestione dei Laboratori Famiglia, all’interno della quale è esplicitato anche il budget che l’Amministrazione Comunale intende destinare al progetto. La cifra per l’attuale annualità è di euro 48.640,00. Oltre alle risorse economiche messe a disposizione dal Comune di Parma, i Laboratori Famiglia stanno sperimentando nuovi canali di finanziamento (anche in beni materiali) provenienti da sovvenzioni private, dalla compartecipazione di altre associazioni o di singoli cittadini, da proventi di iniziative di autofinanziamento.


Quali sono i punti cruciali, le criticità su cui credete si debba ancora lavorare?

Innanzitutto, lo spazio fisico: la struttura in cui si trovano i laboratori è fondamentale: più è grande e attrezzato – ad esempio con una cucina -, più attività si possono organizzare. Inoltre la sede deve essere “stabile”, perché ciò assicura identificazione con un posto, affezionamento, ritorno. Alcuni di essi, inoltre, sono localizzati all’interno di “luoghi storici” che hanno un particolare valore nella cultura del luogo.

Un altro punto fondamentale è la comunicazione, farsi conoscere dai cittadini, quindi andiamo nei luoghi pubblici (scuole, parchi, ecc.) a presentarci, a incontrare le persone cercando di coinvolgerle.

Alcune criticità ci sono. I Laboratori Famiglia non possono reggersi solo sul volontariato, ma hanno bisogno di professionisti sociali e educatori che, avendo conoscenze specifiche e una visione d’insieme, insegnino ai volontari come operare, li sostengano nell’organizzazione delle attività. Non possiamo pensare che i laboratori siano completamente a costo zero. Un punto di forza infatti è l’accompagnamento sociale ed educativo svolto dagli operatori sociali che, partendo dalla conoscenza dei contesti di vita del quartiere, scoprono dei bisogni che non sempre possono essere visti, conosciuti o ricevere risposte da altri servizi del welfare o da altre agenzie sociali.

Inoltre, non sempre la nostra utilità viene riconosciuta, anche se stiamo acquisendo valore. Ad esempio, i servizi sociali – oggi molto oberati e in grado di soddisfare solo i bisogni primari, hanno capito che per i bisogni di socializzazione possono appoggiarsi a noi. Certo non per quanto riguarda esigenze di cura, quanto piuttosto circa la prevenzione del disagio e la promozione del benessere. Se riusciamo ad aiutare le famiglie prima, non serve che si rivolgano ai servizi poi e questo riduce i costi futuri.

Un altro punto su cui bisogna ancora lavorare è la collaborazione con gli altri attori sociali. Proviamo ad intercettarli e coordinarci, ma non è sempre facile, si ha ancora molta paura e si tende a guardare ognuno il proprio orto. Ci incontriamo in vari tavoli tematici dove mettiamo in campo le nostre specificità, cercando di non replicarci e sprecare le risorse. Per esempio, partecipiamo alla Commissione Agio sugli adolescenti e al tavolo delle povertà.
Con alcuni soggetti i rapporti sono più complessi, ad esempio con le parrocchie – soggetti che tradizionalmente si occupano delle famiglie -, anche perché noi preferiamo mantenere una certa laicità, lavorando anche con religioni diverse, però qualcosa sta cambiando. Con altri sono più semplici, ad esempio con le ostetriche dei consultori, che offrono alle nostre famiglie formazione sui percorsi di nascita e salute.

Infine, in un periodo come questo, c’è il problema dell’incertezza delle risorse. Abbiamo chiesto all’amministrazione di fare una convenzione più lunga. All’inizio la convenzione aveva una durata di tre anni, ridotti poi a uno e poi a sei mesi. Sei mesi è un tempo che ti impedisce di programmare con serenità. Ad esempio, se una tirocinante mi chiede di fare un convenzione a luglio, come faccio? Lo so che la convenzione verrà rinnovata, ma non ne ho la certezza. Comunque, il fatto che la convenzione non sia stata interrotta a suo tempo ci fa essere ottimiste. Evidentemente si è capito che i progetti di comunità hanno una valenza sul lungo periodo, perché richiedono un lavoro di paziente e lenta trasformazione delle trame relazionali.

 

 

Parliamo più nello specifico del Laboratorio Compiti. Perchè si è sentita l’esigenza di creare un progetto di questo tipo?

 

Abbiamo raccolto un bisogno pervenuto dal territorio, in particolare dalle famiglie e dalle scuole; inoltre intendevamo offrire alle famiglie in toto (genitori, figli e parenti vari) l’opportunità di essere coinvolte nell’attuazione del progetto e ritenevamo opportuno che la risposta fosse data ad ampio raggio sul territorio comunale. Per fare ciò abbiamo risposto ad un bando comunale chiamato ”Bilancio partecipativo” attraverso il quale venivano raccolti i progetti più interessanti, pubblicati su internet e poi votati dai cittadini, che così avrebbero scelto direttamente. Questo progetto è stato uno dei maggiormente votati.


Com’è organizzato? Chi opera al suo interno?

Il progetto è finanziato dal comune di Parma, mentre l’associazione LiberaMente fa da referente e coordina tutte le associazioni che lavorano sul territorio. La coordinatrice del progetto è una professionista, mentre le persone a diretto contatto coi bambini sono volontarie: a volte si tratta degli stessi genitori e parenti dei ragazzi, altre dei volontari che appartengono alle associazioni aderenti.


Quali sono i bisogni prevalenti delle persone che si rivolgono a voi?

I bisogni prevalenti sono di tipo formativo (difficoltà di apprendimento), di tipo relazionale (qualche bimbo/a frequenta per stare con gli altri specie se straniero/a) e di alleggerimento alle famiglie: i bambini preferiscono fare i compiti in compagnia e le famiglie sono più serene nel loro rapporto genitoriale uscendo dal momento, spesso conflittuale, del “fare i compiti insieme”. Direi che quasi mai sono dovuti al fatto che non sanno dove lasciare i figli. Ciò per differenti motivi: gli orari (talvolta 2 ore), i giorni (solo uno/qualche giorno la settimana). In ogni caso ciò si evince dalle richieste prettamente formative e relazionali fatte dalle famiglie.


Chi si rivolge al laboratorio? E’ possibile individuare un’utenza media?

Il ventaglio dei cittadini è molto ampio. Frequentano i nostri laboratori sia bambini con bisogni di approfondimento didattico che bimbi senza alcuna difficoltà, ma con voglia di socializzazione. Sicuramente hanno più necessità le famiglie che non sono completamente in grado di aiutare i figli nello svolgimento dei compiti per svariate ragioni: perché entrambi i genitori hanno carichi di lavoro pesanti, anche a causa di una situazione sociale e finanziaria difficile; perché famiglie monogenitoriali con una madre impegnata a lavorare per sostenere il carico familiare; perché i bimbi provenienti da famiglie straniere spesso non hanno dei genitori che possano aiutarli. A tale proposito il progetto prevede che anche i genitori in difficoltà, stranieri e non, possano partecipare e apprendere un metodo per aiutare i figli nello svolgimento dei compiti.

Quali sono le difficoltà che incontrate nel vostro lavoro e gli ostacoli che andrebbero rimossi?

Ad oggi è stata più semplice la realizzazione di laboratori affidati ad associazioni rispetto a quelli dove sono coinvolte a vario titolo istituzioni (scuole, quartieri, ecc.). Questo perché i tempi di attivazione sono nettamente più rapidi, non essendoci atti burocratici e tempi istituzionali da attendere. Talvolta è stato inoltre difficile il reperimento di volontari in zone periferiche della città, in parte per le difficoltà dovute ai collegamenti urbani. Quest’anno, in particolare, la crisi economica si è fatta sentire con forza anche sulle associazioni di volontariato e sui singoli volontari, rendendo per loro più difficoltosa l’attività.

 

Riferimenti

La pagine del Comune di Parma dedicata ai Laboratori Famiglia

Laboratorio Famiglia al Portico

Laboratorio Famiglia in Oltretorrente

Laboratorio Famiglia San Marco e San Leonardo

Laboratorio Compiti

 

 

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