Può apparire naturale che quando si parla di “welfare”, anche se accompagnato dall’aggettivo “aziendale”, si chiami in causa il ruolo e la competenza dei soggetti pubblici che ogni giorno assicurano ai cittadini le politiche sociali nei territori. In realtà, che in un campo di matrice privatistica quale il welfare occupazionale il Pubblico possa giocare un ruolo che vada oltre quello del regolatore è un’ipotesi raramente considerata. Ha provato a percorrere questa strada l’Ufficio di Piano dell’Ambito Distrettuale della Val Seriana (provincia di Bergamo) promuovendo un progetto, “Beatrice – il welfare sul Serio”, che è sfociato a febbraio scorso nella messa a punto di una innovativa piattaforma per la gestione del welfare aziendale che include fra i provider dei servizi anche i soggetti pubblici e del privato sociale che tradizionalmente operano in rete nel quadro delle politiche pubbliche del territorio.

In occasione del quarto incontro di Wa.Lab., il laboratorio sul welfare aziendale, interaziendale e territoriale, organizzato lo scorso 30 novembre a Cuneo da Percorsi di secondo welfare con il sostegno della Fondazione CRC, Antonio Costantini, responsabile dell’Ufficio di Piano dell’Ambito delle Politiche Sociali Valle Seriana, ha ripercorso l’origine e gli sviluppi di Beatrice. In questa intervista, ci spiega in che modo anche un Ente pubblico può cogliere le opportunità del welfare aziendale, rendendolo un elemento di forza non solo per le imprese e i lavoratori direttamente interessati, ma anche per l’intero territorio.

Dott. Costantini, partiamo dall’inizio. Beatrice nasce su iniziativa di un soggetto pubblico, l’Ambito della Valle Seriana: di che cosa si tratta?

Sì, lo zoccolo sul quale è costruito tutto il progetto è il territorio della Val Seriana, in cui noi siamo collocati. Io sono il responsabile dell’Ufficio di Piano dell’Ambito Distrettuale della Val Seriana, incaricato di assicurare da un punto di vista tecnico il coordinamento tra i Comuni che gestiscono in forma associata le politiche sociali. L’aggregazione della Val Seriana comprende 18 Comuni della bassa e media valle per una popolazione di circa 100.000 abitanti. C’è poi l’Ambito Distrettuale della Valle Seriana superiore e Val di Scalve, che comprende 24 Comuni e 45.000 abitanti. Beatrice nasce su iniziativa dell’Ambito della Val Seriana che io rappresento, ma poi hai coinvolto tutta la valle grazie alla partnership con l’Ambito dell’Alta Valle, per cui oggi parliamo di 42 comuni coinvolti e circa 150.000 abitanti.

Grazie all’azione di coordinamento portata avanti negli anni e a una struttura di governance articolata (Assemblea dei Sindaci, Ufficio di Piano, tavoli tematici e gruppi lavoro condivisi col Terzo Settore), i servizi del territorio, sia pubblici che privati, si conoscono, parlano fra di loro. Per dare un’idea della gestione associata, nel nostro Ambito i Comuni versano ad un fondo mutualistico di gestione sovracomunale 29 euro ad abitante, una cifra consistente rispetto ad altri modelli di gestione associata.

Questa è stata la struttura di partenza della nostra attività di rete sul territorio: noi abbiamo cominciato a ragionare di welfare aziendale guardando a una rete che già esisteva per obblighi normativi e che nel tempo si è sviluppata grazie a una capacità di aggregazione. Noi questa rete ce l’avevamo: funziona, coinvolge attori pubblici e attori privati e si raccorda con altri soggetti, per esempio il sindacato, con il quale ci confrontiamo non solo sui temi legati al lavoro. Di questa rete fanno parte non solo i Comuni, ma anche RSA, cooperative, asili nido, spazi giochi, centri diurni, servizi educativi di vario genere. Questi attori lavorano abitualmente con noi. Per ragionare su Beatrice ci siamo rivolti a loro ed è stato semplice, questo era un passaggio facile.


Mancavano però i soggetti del mondo privato profit, le aziende…

Esatto. Ci siamo detti: ma come facciamo per tutta una serie di tematiche a provare ad allargare questa nostra rete al privato profit? Perché due o più soggetti diversi si siedano attorno a un tavolo occorre che al centro del tavolo ci sia un oggetto che interessi a tutti, anche se da punti di vista diversi e con finalità differenti: l’importante è che queste finalità siano dichiarate, è una questione di trasparenza che poi a sua volta contribuisce a generare fiducia. Questo in termini di metodo. È così che ad un certo punto abbiamo individuato nel welfare aziendale questo oggetto di comune interesse in grado di consentire a noi, soggetto pubblico, e al Terzo Settore, con cui lavoriamo, di metterci attorno ad un tavolo con le aziende. Abbiamo così iniziato a lavorare sull’idea del welfare aziendale, ma allora non era ancora stata approvata la Legge di Bilancio 2016 che ha poi introdotto incentivi di carattere fiscale e contributivo e molti, in attesa di interpretazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, nutrivano perplessità in merito agli aspetti fiscali. L’approccio è risultato facilitato dopo che sono stati introdotti gli incentivi fiscali e contributivi per le aziende.

Nel 2016 ho partecipato agli Stati generali del welfare aziendale promossi da Regione Lombardia e ad alcuni convegni di Confartigianato nei quali veniva sottolineato che gli strumenti di welfare aziendale, specie se declinati tramite l’utilizzo di piattaforme software dedicate, per quanto positivi, fossero utilizzabili da parte di aziende di dimensioni grandi o comunque medie. Ho cominciato così a riflettere e a cercare una strada che potesse mettere insieme le potenzialità del welfare aziendale e al contempo risolvere questa criticità rispetto alle piccole aziende. Iniziammo anche a chiederci quali fossero i servizi o beni acquistabili dai dipendenti o per cui questi potessero chiedere un rimborso attraverso le piattaforme. A quel punto è risultato piuttosto naturale pensare all’idea di realizzare noi – Ambito Territoriale, Ente pubblico – una piattaforma di gestione del welfare aziendale da offrire alle aziende del territorio, quelle grandi, ma anche quelle di piccole e piccolissime dimensioni. Il nostro ragionamento è stato: commissioniamo la messa a punto e la gestione della piattaforma a chi la sa fare, un provider professionale, perché lo strumento richiede professionalità ulteriori rispetto a quelle che abbiamo noi: competenze specialistiche in materia fiscale, contributiva e giuslavoristica, nonché una struttura a norma di legge per la conservazione documentale e capace di dialogare con i software per la gestione paghe delle aziende partner. Però realizziamola in modo che sia per le grandi e per le piccole imprese e mettiamoci dentro i nostri servizi: la rete strutturata di servizi di cui ho parlato prima.


Come si è sviluppata l’interlocuzione con le aziende del territorio? Si sono dimostrate interessate verso un’iniziativa promossa da un Ente pubblico?

Dopo una prima interlocuzione con alcune associazioni datoriali, presso le quali ho ricavato molte e utili informazioni, tutto è stato reso possibile quando abbiamo incontrato cinque aziende che hanno cominciato a sedersi con noi attorno ad un tavolo, permettendo all’idea iniziale di svilupparsi, seguendo anche altri filoni, altre linee di intervento rispetto a quelle inizialmente immaginate. Una di queste linee è nata da un’osservazione semplice: “la tua idea ci piace, però non tutti i dipendenti della nostra azienda in ogni fase della propria vita hanno un bisogno assistenziale. Perché non ampliamo la piattaforma alle diverse attività messe a disposizione dal territorio? Perché non facciamo sì che i dipendenti possano anche acquistare la palestra, la piscina, i libri di testo, il trasporto pubblico, fino anche a cose più semplici che si trovano nei piani di welfare di alcune aziende come, per esempio,il buono benzina o il voucher per il supermercato?”. Come Ente pubblico territoriale il nostro vincolo è spendere per qualcosa che produca un beneficio per la popolazione residente e le sue attività: l’assistenza fa parte dello stretto perimetro di lavoro delle politiche sociali, ma anche il sostegno alle attività del territorio (palestre, piscine, e così via) e al reddito delle persone (come nel caso dei buoni benzina o del buono spesa per il supermercato) è coerente con il nostro obiettivo.

Certo, non mi potete chiedere di andare a spendere soldi per costruire una piattaforma che finanzi un welfare aziendale basato su un approccio generalista senza nessi con la Valle Seriana, perché questo andrebbe oltre le finalità del mio Ente. Una delle visioni di questo progetto è proprio questo: la territorialità, la valorizzazione del territorio, delle sue attività, oltre che la risposta ai bisogni delle persone.


In che modo avete proceduto per la messa a punto della piattaforma?

Ragionando con le aziende volevamo che la piattaforma fosse personalizzabile azienda per azienda. Ogni imprenditore ha un suo punto di vista di partenza rispetto a che cosa intende per welfare aziendale: noi oggi includiamo aziende comprese fra i 6 e i 450 dipendenti. Per tutti loro impostare la piattaforma ha voluto dire, dopo numerosi incontri con noi, incontri collegiali, interaziendali, confrontarsi con il gestore della piattaforma, sedere attorno ad un tavolo con i consulenti che abbiamo ingaggiato per le questioni giuslavoristiche e per la pianificazione dei piani di welfare, e fare entrare in contatto questi consulenti con con chi cura la contabilità e a volte con gli stessi dipendenti.

Insomma, quella messa a disposizione delle aziende non è una piattaforma uguale per tutti: è una piattaforma professionale, in grado di gestire rimborsi e voucher e di conservare tutta la documentazione così da non complicare la gestione del personale e offrire alle imprese un quadro certo dal punto di vista normativo e fiscale, che è un’altra delle preoccupazioni delle aziende quando mettono in piedi queste attività. Poi nel progetto Beatrice la piattaforma è necessaria ed è la parte più visibile, ma noi abbiamo altri intenti: la piattaforma ci serve soprattutto per creare un rapporto positivo con le aziende e con il territorio.


Quali sono le aziende che nel tempo hanno deciso di aderire alla piattaforma di Beatrice?

Una cosa che io ho detto subito è stata che la piattaforma di Beatrice sarebbe dovuta nascere includendo sin dall’inizio come utilizzatrici le imprese profit e non i soggetti del Terzo Settore, come le cooperative e le RSA, che già lavoravano con l’Ambito Territoriale. Altrimenti saremmo andati a presentare alle aziende un sistema che avrebbe dato l’idea di autoalimentarsi. Le imprese profit, secondo me, non avrebbero trovato attrattiva un’iniziativa realizzata, e poi anche fruita, dagli Enti pubblici e dalle cooperative che già lavorano con loro: non ci avrebbero creduto, non avrebbe mostrato il beneficio per il privato profit. Avremmo costruito uno strumento senza misurarlo sulle esigenze dell’impresa, avremmo cioè detto all’impresa: "conosco i tuoi bisogni e ho la risposta"; invece abbiamo voluto dire: "raccontaci i tuoi bisogni e costruiamo insieme la risposta". La sfida era creare fiducia. Le imprese dovevano riuscire a vedere se stesse dentro Beatrice. Poi, una volta fatto partire il progetto, anche i soggetti del Terzo Settore sarebbero entrati, ma in un secondo tempo. Questo è stato il nostro approccio strategico, non sempre facile da difendere e a volte oggetto di critiche, in presenza di cooperative ed RSA con centinaia di dipendenti.

Siamo così passati dal dialogo con Confindustria, Confartigianato e con le varie associazioni di rappresentanza a cercare direttamente sul territorio imprese interessate a partecipare, fino a creare un primo “cuore” di aziende. Nel tempo qualcuna è uscita e altre sono entrate: oggi sono aderiscono Persico, Acerbis, Sitip, nell’ordine dei 350 – 450 dipendenti, Catellani&Smith e P.Plast, fra i 60 e gli 80 dipendenti, e Modulor, che è l’azienda più piccola con i suoi 6 dipendenti, ma che ha rivelato una grande capacità coesiva in quello che potremmo chiamare l’“HR club” di Beatrice. Oggi, in fase esecutiva con le imprese, aderisce anche Fondazione Sant’Andrea, che è una RSA.


Come funziona questa piattaforma?

Io riassumo la filosofia alla base della piattaforma Beatrice dicendo che “si nutre del territorio”, ma “non è una gabbia”“Non è una gabbia” significa che – a differenza di quello che spesso si crede, e cioè che dentro Beatrice si trovino solo i servizi del territorio – per alcune spese, ad esempio quelle mediche, anche se sostenute fuori dalla Valle Seriana, è ovviamente possibile chiedere il rimborso: se uno va a sostenere la spesa medica a Milano chiaramente la può mettere a rimborso.

“Si nutre del territorio” significa però che abbiamo fatto una gara, abbiamo commissionato a Easy Welfare la costruzione della piattaforma come la volevamo noi e quindi abbiamo fatto togliere dalla piattaforma alcuni strumenti o convenzioni che il provider aveva con soggetti esterni al nostro territorio. Il fatto che siano spendibili e rimborsabili beni e servizi fuori dalla val Seriana consente agli imprenditori di avere uno strumento che vada bene anche per i dipendenti non residenti in Valle. D’altro canto, il senso territoriale del progetto si sviluppa anche attraverso l’attivazione dei dipendenti, che, alla ricerca di soluzioni ai propri bisogni, perché magari spendono per servizi territoriali, incentivano i propri datori di lavoro – direttamente o tramite il sindacato – ad aderire a Beatrice. Similarmente i fornitori di servizi sul territorio devono attivarsi per suggerire ai propri utenti i benefici che potrebbero ottenere dall’adesione delle proprie aziende al sistema Beatrice. Puntiamo ad avere nelle aziende porte d’accesso alla rete e di informazione all’utenza in materia di assistenza alle persone. Per la conformazione che abbiamo questa cosa è piuttosto semplice perché siamo molto radicati e diffusi sul territorio con i servizi.

Ci capita poi che ci contattino aziende al di fuori della Val Seriana, della Bergamasca o di altre zone, e che ci chiedano se possono aderire a Beatrice: in linea teorica sì, non c’è un problema di carattere economico dal nostro punto di vista, non avremmo spese ulteriori. Però il progetto ha senso se c’è un’attivazione dei territori: altrimenti la piattaforma diventerebbe semplicemente uno strumento gratis e noi non siamo venditori di piattaforme. Siamo invece ovviamente disponibili alla diffusione dl modello e molto interessati al confronto con altri territori, che ci ha già donato spunti e nuove competenze.

Un aspetto importante della vostra iniziativa è sicuramente il modello di finanziamento: la piattaforma come garantisce la propria sostenibilità?

Come si regge? Beatrice non è un progetto che costa molto all’Ente pubblico, è un progetto piccolino: Beatrice è costata all’Assemblea dei Sindaci 30mila euro. Noi abbiamo pagato al provider una cifra iniziale per l’avvio della piattaforma, poi, a parte le primeaziende aderenti che non hanno versato nulla, le altre per entrare nella piattaforma sono tenute al versamento di 1.000 euro. Dopo, funziona un sistema di commissioni sul transato, a carico delle aziende, che è classico nella gestione di questi strumenti. Quindi, per quanto ci riguarda, l’unico costo che sosteniamo è semplicemente un canone annuo di 1.800 euro. Più nello specifico, abbiamo fatto un contratto-quadro fra la nostra società in-house e il gestore della piattaforma, in cui abbiamo definito le condizioni generali relative al costo dell’attivazione della piattaforma, di una giornata di formazione per ciascuna azienda che entra, la personalizzazione della piattaforma, il fatto che i servizi debbano essere approvati dall’Ambito Distrettuale prima di essere acquistabili o rimborsabili dentro la piattaforma, perché devono mantenere quel carattere di territorialità di cui ho parlato prima. Al contratto “quadro” si aggiungono dei contratti “appendice” sottoscritti dalle singole aziende con il gestore della piattaforma, soprattutto per regolare il trattamento dei dati dei dipendenti, che sono tutti profilati, la gestione dei documenti di rimborso e il flusso dati con i software paghe.

Detto questo, oltre a un contributo di 10mila euro che ci diede la Provincia di Bergamo in fase di studio, abbiamo ricevuto anche un finanziamento di 40mila euro da Regione Lombardia nell’ambito della DGR sulla conciliazione vita-lavoro. I filoni di spesa rispetto al progetto finanziato dalla Regione erano tre: la commissione e l’attivazione della piattaforma; la consulenza giuslavoristica e sui piani di welfare aziendale; le attività di comunicazione. Queste ultime sono forse la parte più importante e riguardano sia la comunicazione verso l’esterno, verso il territorio rispetto ai servizi offerti, sia la comunicazione interna alle aziende, che è fondamentale; la comunicazione riguarda, in linea con le politiche regionali, anche le attività di diffusione del modello. Come dicevo, abbiamo anche impostato il raccordo con l’Ambito della Valle Seriana superiore senza però risorse aggiuntive. Molti progetti finanziati da bandi spendono le risorse per fornire servizi aggiuntivi alle persone, Beatrice invece è un progetto di sistema, poco costoso e già oggi pienamente sostenibile, che ha funzione di volàno per mettere in circolo ingenti risorse proprie dei partner.


Accennava all’importanza della comunicazione: in che cosa sono consistite le attività realizzate in questo campo?

Sul fronte della comunicazione abbiamo organizzato tre incontri in Val Seriana. L’ultimo poche settimane fa: erano presenti tutti gli imprenditori delle aziende che aderiscono a Beatrice, il Direttore Generale dell’ATS, il Presidente dell’Assemblea dei Sindaci, ed è stato un momento molto interessante, anche perché lì è accaduto che sia stato uno di questi imprenditori a lanciare la palla più in là di dove siamo arrivati oggi. Visto che andiamo così bene e abbiamo un forte rapporto di fiducia, è stato immaginato che le aziende, nel tempo, potrebbero destinare una quota di risorse per la creazione di un fondo territoriale a beneficio della popolazione, un’integrazione, da parte delle imprese, del fondo sociale: arriveremo così lontano? Trovo comunque molto interessante, e significativo, che a proporlo sia stato proprio un imprenditore.

Abbiamo organizzato anche due workshop e momenti informativi sulla piattaforma. Questi convegni, che noi realizziamo per le aziende, ma che sono aperti a tutti, servono anche per rendere più riconoscibile il contributo dell’Ambito al “welfare aziendale”. È questo un tema – il welfare – che a noi viene naturale pensare sia anche di nostra competenza: ma ci siamo resi conto che è una riflessione che non è per niente scontata, tanto che, per quel che ne so io, in Italia altre esperienze di questo tipo, con un Ente pubblico che assume l’iniziativa e assicura il governo del progetto, non ce ne sono.


Concludendo, a 10 mesi dall’avvio di Beatrice, qual è il vostro bilancio?

Ci sono certamente degli elementi di estrema positività, di vero entusiasmo. Lo scambio di conoscenze, modi ed esperienze col mondo della gestione del personale imprenditoriale è per me affascinante. Abbiamo oggi sette imprese aderenti: quattro aziende, tre più grandi e una più piccola, che già utilizzano la piattaforma, mentre altre tre stanno studiando i piani welfare. C’è grande attenzione verso la nostra esperienza: la Fondazione Symbola di Roma ci ha selezionato nella sua pubblicazione biennale Coesione è competizione tra i 20 casi aziendali in materia di coesione e sviluppo. Il fatto che Beatrice, progetto ideato e guidato da un Ente pubblico, sia tra questi 20 casi aziendali è sicuramente interessante.

Allo stesso tempo, non nascondiamo che ci sono anche delle criticità. Mentre all’inizio il problema era riuscire a coinvolgere un altro soggetto rispetto al Pubblico e al privato sociale, cioè il privato profit, oggi abbiamo il problema opposto: recuperare ad una presenza altrettanto attiva i fornitori dei servizi sul territorio. All’inizio era necessario concentrarsi sulle aziende, ma oggi bisogna lavorare sul coinvolgimento della rete sociale (Comuni e Terzo settore erogatore di servizi), ma anche delle persone, degli utenti, per la proposta di un modello nuovo. Dentro il nostro mondo, quello delle politiche sociali, dei servizi alla persona, non sono pochi quelli che ci chiedono: “Ma che cosa c’entra Beatrice con il sociale?”. Secondo me Beatrice è esattamente politica sociale. Beatrice è la visione di un mondo di relazioni, di soggetti sempre più rappresentativi della collettività, che si riconoscano e siano riconoscibili alla gente e così collaborino più efficacemente al benessere di tutti, aziende e persone.

Dal convegno di novembre io ho percepito che proprio perché con Beatrice siamo riusciti a realizzare obiettivi come la piattaforma e il coinvolgimento di un primo nucleo di imprese, ora è fondamentale ampliare il progetto, favorirne una ancora maggiore ramificazione e diffusione, e andare oltre l’idea stessa della piattaforma. In altre parole, dobbiamo riuscire a inventarci altre modalità di raccordo di rete, altre idee, altri strumenti di supporto interaziendale e interterritoriale. Di sicuro ora dobbiamo andare oltre perché, quando hai raggiunto quello che ti eri preposto, perché la rete vada avanti occorre darsi nuovi obiettivi.