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All’inizio di quest’anno ha finalmente preso avvio la cosiddetta Youth Guarantee, la Garanzia Giovani promossa dall’Unione Europea per stimolare l’inserimento occupazionale degli oltre 6 milioni di under25 europei che sono attualmente disoccupati. Maurizio Ferrera, referente scientifico di Percorsi di secondo welfare, nell’articolo La lezione di Londra e Parigi e quello che si può fare subito per i giovani disoccupati pubblicato il 10 gennaio sul Corriere della Sera, ha sottolineato come l’Italia abbia messo in cantiere un piano ambizioso, ma anche come potrebbe essere utile guardare a quanto stanno facendo altri Paesi, come Francia e Inghilterra, che hanno scelto approcci diversi ma egualmente interessanti per sviluppare le proprie politiche occupazionali dedicate ai più giovani.

L’11 gennaio Enrico Giovannnini, Ministro del Lavoro e del Welfare, attraverso una lettere indirizzata al direttore del Corriere, ha risposto alle osservazioni di Ferrera. Il Ministro ha voluto sottolineare come nei mesi scorsi siano stati varati diversi provvedimenti caratterizzati da un approccio maggiormente attivo rispetto alle politiche passive assunte in passato nel nostro Paese, e come siano da considerarsi propedeutici alla realizzazione della Youth Guarantee.

Vi proponiamo di seguito i due contirbuti, utili a comprendere come nei prossimi mesi si struttureranno le politiche di contrasto alla disoccupazione giovanile.     


La lezione di Londra e Parigi e quello che si può fare subito per i giovani disoccupati
Maurizio Ferrera, Corriere della Sera, 10 gennaio 2014

Dal primo gennaio ha preso formalmente avvio il programma UE “garanzia giovani”, volto a promuovere l’inserimento occupazionale dei circa 6 milioni di disoccupati europei sotto i 25 anni. Molti governi hanno già presentato alla Commissione i propri Piani di attuazione, indispensabili per accedere al co-finanziamento UE. Come ha ben spiegato Beppe Severgnini sul Corriere del 7 gennaio, la sfida del lavoro giovanile (che non c’è) è particolarmente acuta nel nostro paese.

In linea con le direttive UE, il Piano del governo Letta mira a garantire ai giovani disponibili al lavoro una serie di proposte d’inserimento: se non proprio contratti di assunzione, almeno apprendistati, tirocini, percorsi di formazione, consulenza e fondi per l’avvio d’impresa e così via. Il bacino di potenziali beneficiari è stimato in quasi un milione di giovani, di cui più della metà nelle regioni del Sud. In un documento informale, la Commissione ha giudicato il Piano italiano “in linea di massima adeguato”, ma ha anche rimarcato l’assenza di “impegni e quantificazioni precise”, in particolare per quanto riguarda le attività delle regioni. Implementation will be key, conclude il documento: tutto dipenderà dall’attuazione nei vari contesti territoriali.

Come (quasi) sempre, la Commissione ha colto il punto. Per le nostre claudicanti amministrazioni regionali e i loro fragili servizi per l’impiego sarà molto difficile mantenere le promesse. Campania e Sicilia dovrebbero “garantire” (espressione molto impegnativa) proposte di inserimento a più di 150.000 giovani entro quattro mesi dalla loro iscrizione al nuovo schema; la Puglia quasi 100.000, la Calabria 50.000. Saggiamente, il Piano cerca di mantenere le redini di tutta l’operazione in capo al Ministero del Lavoro, affidando alle regioni il ruolo di gestori delegati. Ma ciò sarà possibile sul piano politico e istituzionale? E, soprattutto, sapranno le amministrazioni regionali svolgere con un minimo di efficienza ed efficacia anche solo le funzioni delegate? Purtroppo, è lecito dubitarne: non per partito preso, ma sulla base dell’ esperienza dell’ultimo decennio, che è stata largamente fallimentare proprio laddove il mercato del lavoro funziona peggio.

I dati del Primo (sì, primo!) Rapporto di Monitoraggio sui servizi per l’impiego, meritoriamente realizzato dal Ministro Giovannini, segnalano una situazione di drammatica inettitudine. Nel 2012 la Campania ha “garantito” solo 7.000 giovani disoccupati, la Puglia 8.000, la Calabria 4.000; solo la Sicilia ha fatto un po’ meglio, con circa 30.000 giovani coinvolti in qualche misura di attivazione lavorativa o professionale. Certo, tali modesti risultati vanno in parte ascritti alla scarsità di personale (negli altri paesi i dipendenti dei servizi per l’impiego sono molto più numerosi) e, soprattutto, alle condizioni di strutturale debolezza economica del Mezzogiorno.

Come però emerge dalle “buone pratiche” (alcune esistono e andrebbero valorizzate) di alcune regioni, qualche margine per migliorare ci sarebbe. La discrepanza fra le competenze richieste dalle aziende meridionali e quelle possedute dai giovani è fra le più elevate d’Europa: in altre parole, ci sono molte imprese che potrebbero assumere, ma non trovano personale con le qualifiche appropriate. E’ su questo fronte che andrebbero concentrati i primi sforzi.

Le risorse finanziarie disponibili per la garanzia giovani nel 2014 non sono poche (circa un miliardo e mezzo) e qualche passo in avanti potrà essere fatto, anche al Sud. Considerando i nostri punti di partenza, l’attuale versione del Piano appare però troppo generica e ambiziosa: è auspicabile fissare alcune priorità e obiettivi specifici, come del resto ci ha chiesto la Commissione. La Francia ha scelto di realizzare la garanzia giovani per tappe, iniziando da schemi pilota in alcuni dipartimenti per arrivare “a regime” nel 2016.

Non sarebbe più prudente seguire questa strada? O quanto meno condizionare l’accesso ai fondi UE e nazionali in base all’effettiva performance (anche progettuale) delle regioni? Si potrebbe inoltre prendere ispirazione da altri elementi della strategia di Parigi, come gli incentivi ai cosiddetti emplois de l’avenir, i lavori del futuro. Un’altra buona idea è il programma Myplace dell’Inghilterra, che aiuta i giovani ad aiutarsi da soli: fondi, spazi, informazioni e consigli a gruppi di ragazzi e ragazze disposti a cercare e “agganciare”, anche tramite attività di servizio civile, chi è totalmente fuori da ogni circuito (gli esclusi fra gli esclusi).

Per il governo Letta la garanzia giovani è una scommessa doverosa, ma anche molto rischiosa. Occorre uno sforzo straordinario di progettazione e gestione, evitando al tempo stesso di promettere ciò che è impossibile realizzare. Inoltre è indispensabile responsabilizzare in modo diretto e trasparente tutti i soggetti da cui dipende l’occupazione giovanile. Che non sono solo idecisori pubblici e i servizi per l’impiego, ma anche le imprese, i sindacati e l’insieme di quei “corpi intermedi” che in Italia criticano continuamente la politica ma spesso le chiedono molto più di quanto danno.

 

Il piano Garanzia Giovani è un’occasione
Enrico Giovannini, Corriere della Sera, 11 gennaio 2014

Caro Direttore,
Maurizio Ferrera ha commentato ieri la notizia che il Piano italiano sulla «Garanzia Giovani» ha avuto il via libera della Commissione europea. Si avvia così la fase amministrativa per il trasferimento dei fondi Ue (circa 1,5 miliardi), da spendere nel biennio 2014-2015. Nel suo articolo Ferrera avanza anche alcune proposte per rendere il Garanzia Giovani ancora più efficace. E di questo lo ringrazio. Vorrei sottolineare che Garanzia Giovani è solo un primo passo: disegna, infatti, un nuovo modello di politiche del lavoro basato su un piano nazionale con declinazione territoriale concertato con le Regioni, utilizzabile anche per altre fasce di età, con attenzione specifica per chi fruisce di sussidi di integrazione salariale, mobilità e di disoccupazione.

Il programma Garanzia Giovani si basa anche sui numerosi provvedimenti adottati in questi mesi, tra cui l’alternanza scuola-lavoro, gli incentivi all’assunzione, la semplificazione normativa, il finanziamento di tirocini e di fondi per l’autoimprenditorialità, per un investimento che supera il miliardo di euro. Una sorta di «prova generale» di una svolta che stiamo imprimendo alle politiche «attive» per l’occupazione e il reinserimento, dopo tanti anni di dibattiti nei quali si sono privilegiate le politiche «passive», basate cioè sugli ammortizzatori sociali.

Infatti, con il «pacchetto lavoro» del giugno scorso non solo sono state riviste alcune normative, istituiti incentivi per l’assunzione di giovani (che, insieme a quelli per donne e over50, in sei mesi hanno prodotto 36 mila assunzioni), ma è stata anche creata la «Struttura di missione» che ha sviluppato il programma Garanzia Giovani, grazie alla collaborazione con altri ministeri, province, altre istituzioni e soprattutto le Regioni, cui spetta la competenza in materia di politiche attive del lavoro.

Il programma Garanzia Giovani, elaborato anche con il contributo delle Parti sociali, delle organizzazioni giovanili e del terzo settore (che svolgeranno un ruolo attivo anche nella fase attuativa), prevede una serie di percorsi personalizzati finalizzati all’inserimento lavorativo, a un’esperienza di tirocinio, all’mpegno nel servizio civile, alla formazione professionalizzante e all’accompagnamento all’avvio di una iniziativa imprenditoriale. Insomma, un percorso all’altezza di quello offerto in altri Paesi europei.

Il percorso del giovane che si iscrive al programma sarà registrato in un sistema informativo integrato per l’intero territorio nazionale, che, per la prima volta, sarà accessibile a tutti i soggetti abilitati a fornire i servizi (centri per l’impiego, agenzie autorizzate, ecc.). In questo modo, sarà possibile applicare criteri moderni: contendibilità tra le strutture e premialità per quelle più efficienti con un sistema di costi standard, continuo monitoraggio delle azioni e sussidiarietà, cioè la possibilità di un intervento dal centro nei casi di mancato funzionamento delle strutture regionali e provinciali.

L’impianto operativo sarà oggetto di protocolli che il ministero firmerà con ogni Regione nelle prossime settimane, in modo da assicurare una certa omogeneità sull’intero territorio nazionale e l’avvio delle registrazioni al programma da parte dei giovani entro il mese di marzo.Ovviamente, la realizzazione di Garanzia Giovani è una sfida importante per tutti, in primo luogo per le strutture territoriali. Questo nuovo approccio potrà essere esteso progressivamente a tutte le fasce d’età.

Non a caso nella legge di Stabilità è stato creato un apposito Fondo per sperimentare strumenti innovativi per la ricollocazione dei lavoratori disoccupati o in ammortizzatori, con stanziamenti aggiuntivi e più consistenti (350 milioni) destinati al Mezzogiorno. Il piano straordinario per le politiche attive che proporrò alle Regioni per il biennio 2014-2015, come ho anticipato ieri alle Parti sociali, vuole mettere a frutto questo nuovo metodo per colmare uno dei ritardi storici del nostro Paese, migliorando non solo le regole, ma il funzionamento di tutte le componenti del mercato del lavoro.

 

 

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