Rassegna Stampa
Giovani

Garanzia Giovani, oltre il milione di iscritti niente

Al netto delle cancellazioni gli iscritti sono 865mila. Solo a 227mila è stata erogata una prestazione concreta. Appena 32mila i contratti di lavoro

Dopo l’assalto alla diligenza di Garanzia Giovani, identificata (e non senza ragioni) come l’esempio del fallimento delle politiche attive del lavoro italiano, nelle ultime settimane emergono opinioni discordanti, spesso positive, sul piano europeo. Il raggiungimento di un milione di giovani iscritti, cifra enorme se paragonata alle adesioni storiche ai servizi per l’impiego italiani, ha fatto sì che qualcuno decretasse il suo successo. C’è perfino chi ha sostenuto che un mezzo-fallimento fosse necessario per capire che il nostro sistema di politiche attive non funziona. Quasi come se avessimo bisogno di investire 1,5 miliardi di euro per scoprire che la terra non è piatta.

Parlare di successo o di fallimento è sempre un rischio, soprattutto per un piano come questo, senza precedenti in Italia, che si innestava su una rete di servizi per il lavoro che è da sempre uno dei tanti talloni d’Achille del mercato del lavoro italiano e che, dettaglio non secondario, è tutt’ora in corso. Una delle modalità possibili per capire a che punto siamo, e come sta proseguendo il piano, è guardare ai dati e ai numeri di cui oggi siamo in possesso, concentrandosi sugli iscritti e sulle proposte effettuate. Utilizzeremo per questo i dati dell’ultimo rapporto settimanale Isfol aggiornato al 18 marzo 2016.

Dire che Garanzia giovani, a distanza di quasi due anni dall’attuazione, stia funzionando è un giudizio molto miope. I numeri comunicati in grande stile nascondono una dimensione qualitativa, che è quella che incide veramente sul futuro di coloro che si iscrive.

Innanzitutto il risultato, indubbiamente positivo, di oltre un milione di iscritti, che scendono a 865mila se si considerano le cancellazioni (possibile sintomo di una comunicazione non sempre molto chiara). Un dato che indica chiaramente la scommessa da parte dei giovani su questo piano, l’umile richiesta d’aiuto da parte di una generazione che si trova in un mercato del lavoro che oggi è tutto tranne che aperto agli under 29. Il dato è significativo perché certifica un cambiamento di atteggiamento, ossia la disponibilità a rivolgersi a un sistema di politiche del lavoro, e non utilizzare come unico canale per la ricerca dell’impiego la conoscenza, la parentela e la raccomandazione (intesa negativamente).

Di questi 865mila sono 642mila, il 74%, coloro che risultano presi in carico (Tavola 3), ossia che hanno effettuato un colloquio con il centro per l’impiego, firmato un “patto di servizio” e sono ora in attesa di una proposta. Anche questo è un numero positivo, che mostra la capacità dei servizi per il lavoro italiani quantomeno di essere in grado di contattare i giovani e organizzare colloqui.

 
Tavola 3. Giovani registrati e presi in carico per regione. Indice di copertura.

Ma tutto questo non basta. Non si può valutare l’efficacia del piano e dei servizi per l’impiego sulla capacità di istruire una pratica, così come non si può valutare un ristorante dal suo menù e dalla capacità dei camerieri di far accomodare al tavolo. È necessario valutare le misure concrete offerte ai giovani iscritti, poiché stiamo parlando di un impegno formale a dare loro una “garanzia”, una risposta entro quattro mesi dall’iscrizione, ed è qui che inizia a traballare (se non crollare) quanto descritto finora. Perché se è positivo il grande numero di iscritti, questo è anche una scommessa. Più è alto il numero di coloro che ripongono le loro speranze nel progetto, più è alta la responsabilità di chi ha proposto una “garanzia”. E, a ben vedere, questi dati non sono rassicuranti. Ad oggi sono 227mila i partecipanti al piano ai quali è stata erogata una misura concreta. Un numero che già di per sé è molto basso, circa un quarto degli iscritti, ma che se disaggregato dipinge uno scenario ancora più preoccupante (Tavola 6).


Tavola 6. Numero di partecipanti a cui è stata erogata una misura di politica attiva e di integrazione nel mercato del lavoro (dati parziali)

Infatti di questi 227mila ben 138mila sono tirocini, e sappiamo che oggi in Italia il tirocinio è spesso una modalità con cui le imprese fanno ruotare giovani ogni sei mesi (o meno) evitando così di stipulare contratti di lavoro. Il basso costo del tirocinio in questo caso, poi, viene reso ancora più attraente dai contributi di Garanzia giovani che copre buona parte del costo dell’indennità. Insomma, è difficile pensare che questo sia uno di quegli strumenti volti ad aumentare l’occupabilità dei giovani, vero obiettivo del piano europeo, spesso confuso con la “garanzia” di ricevere un posto di lavoro. Basti pensare che in media solo un tirocinante su dieci viene assunto alla fine dello stage.

Al contrario, i contratti di apprendistato, che per contenuto formativo e per caratteristiche contrattuali dovrebbero essere più idonei a incidere sull’occupabilità degli iscritti, sono solo alcune migliaia (non si conosce al momento il numero preciso). In complesso i contratti di lavoro avviati grazie a Garanzia giovani sono solo 32mila. Questo, oltre a essere un giudizio importante sull’efficacia del piano, fa capire anche quanto poco le aziende abbiamo usufruito del “Bonus occupazionale” previsto, utilizzandolo soprattutto nel mese di dicembre 2015 non tanto per approfittare di Garanzia giovani, quanto per i bonus governativi per i contratti a tempo indeterminato (come mostra chiaramente la figura 5).

Figura 5. Bonus occupazionale per le imprese: distribuzione mensile istanze confermate per tipologia contrattuale

 

Le restanti 50mila proposte fatte ai giovani sono “misure di politiche attive di supporto per l’integrazione nel mercato del lavoro, esclusi i tirocini”, che potremo valutare unicamente quando avremo dati disaggregati per regione, in modo da capire se si tratta di proposte effettivamente utili o di tanti corsi di formazione che più che interessarsi all’occupabilità servono per occupare il tempo.

Per ultimo, è molto interessante il fatto che il 34% dei giovani iscritti e presi in carico trova un lavoro prima che gli venga offerta una proposta dai servizi per l’impiego (Figura 4). Questo ci dice due cose: da un lato che molti di coloro che si iscrivono a Garanzia giovani appartengono ad un target diverso da quello di cui il piano dovrebbe occuparsi, perché non sono scoraggiati in quanto alla ricerca di un impiego. Dall’altro conferma che i veri vincitori e costruttori di una propria garanzia sono i giovani stessi. Non è retorica, ma un dato di fatto quello per cui loro stessi prima si muovono per iscriversi al piano e poi, senza aspettare mesi e mesi in attesa di ricevere una proposta concreta, continuano a cercare e trovano un impiego.

 

Figura 4. Quota di giovani presi in carico in attesa di offerta che risulta occupato. Percentuali per genere, classi di età, livello di profiling e status occupazionale al momento della presa in carico.

Dire che Garanzia giovani, a distanza di quasi due anni dall’attuazione, stia funzionando è quindi un giudizio molto miope. I numeri comunicati in grande stile nascondono una dimensione qualitativa, che è quella che incide veramente sul futuro di coloro che si iscrive.

È giusto guardare con stima al milione di giovani iscritti, è giusto dire che grazie al piano europeo qualcosa si è mosso nel sistema di politiche attive italiane, ma attenzione a pensare che questi siano risultati accettabili. Continuare a riconoscere, entrando nel merito, i problemi è l’unico modo per cercare di implementare un progetto che rappresenta ancora una grande opportunità, oltre che un banco di prova per la nascente Anpal e per la credibilità del Jobs Act.

 

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