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Un miliardo e trecento mila euro di nuove risorse. È questa la cifra riportata nel mezzo della scorsa estate italiana da molte agenzie di stampa per il rifinanziamento del programma europeo Garanzia giovani (GG) avviato nel nostro Paese nel 2014. Per molti si tratta di una bella novità che dovrebbe permettere di proseguire, e possibilmente migliorare, quanto fatto fino ad ora. Per altri, solo un’ulteriore spreco di denaro pubblico.

Questa nuova iniezione di risorse per l’Italia è stata possibile grazie al rilancio della Garanzia giovani deciso a Bruxelles, dopo i primi tre anni di implementazione del programma. Nel corso del 2016, la Commissione europea aveva infatti proposto una revisione del Quadro Finanziario Pluriennale, successivamente approvata dal Consiglio dell’Unione europea, chiedendo all’incirca un 1 miliardo di euro aggiuntivi a favore della GG per il triennio 2017-20. Per l’Italia, l’integrazione dell’Iniziativa Occupazione Giovani (la principale linea di finanziamento della GG) ammonta a circa 343 milioni di euro. A queste risorse, se ne sommano altre provenienti dall’aggiustamento tecnico del Fondo sociale europeo, dal Programma operativo nazionale "Sistemi di politiche attive per l’occupazione" (PON SPAO) e dal Fondo di rotazione.

La strategia di rilancio della Garanzia giovani voluta a livello sovranazionale può essere ricondotta al novero delle misure promosse dalla Commissione Junker al fine di dare maggiore concretezza all’iniziativa politica del Pilastro europeo di diritti sociali. Nel discorso sullo Stato dell’Unione tenutosi nel 2016, Junker aveva infatti sostenuto, non senza forte enfasi retorica, che, come Presidente della Commissione europea, "non posso e non voglio accettare che la generazione del nuovo millennio, la generazione Y, possa diventare la prima generazione da settant’anni a questa parte a ritrovarsi più povera dei genitori". Da qui la necessità di un rilancio della Garanzia giovani, fatta propria dallo stesso Consiglio europeo a fine 2016. Un rilancio che però avrebbe dovuto tenere in stretta considerazione le critiche avanzate nei confronti del programma, tra cui quelle della Corte dei conti dell’Unione europea. Quest’ultima ha pubblicato nella primavera di quest’anno una relazione nella quale evidenziava numerose carenze nell’implementazione del programma, alla luce di un’indagine svolta in cinque Paesi, tra cui l’Italia.

Tra queste critiche, la Corte ha segnalato, ad esempio, la mancanza di indicatori o sistemi volti ad assicurare la qualità delle offerte di lavoro o formative, come gli stage. Un altro punto debole rilevato concerne l’assenza di un attento esame della popolazione dei Neet – i cosiddetti Not (engaded in) employment, education and training – sia a livello nazionale, sia locale. Le strategie di implementazione della GG sarebbero infatti dovute partire da un’accurata analisi di questa categoria fortemente eterogenea di giovani, al fine di mettere in campo interventi focalizzati e rispondenti alle specifiche necessità locali. Al contrario, come riportato dai giudici di Lussemburgo, "nessuno degli Stati membri visitati ha svolto una valutazione globale delle caratteristiche della popolazione dei Neet, utilizzano solo dati statistici, per corroborare le opzioni incluse nel piano operativo. Le autorità nazionali non hanno quindi eseguito una valutazione appropriata delle carenze".


Dalla Garanzia giovani alla Garanzia-tirocini

Sul fronte nazionale, l’ultimo rapporto di monitoraggio trimestrale curato dall’Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal) ha confermato che la misura a cui gli utenti della Garanzia giovani hanno fatto maggior ricorso è il tirocinio extra-curriculare. Quest’ultimo interessa infatti poco più del 70% delle misure di politica attiva avviate in seno al programma, con punte del 73% al Nord-Est e al Centro, per scendere a circa il 68% al Sud e al Centro-Nord. Tale dato è di particolare interesse per due motivi.

Innanzitutto perché rappresenta un’eccezione nel panorama europeo dove, secondo quanto riportato dalla relazione della Corte dei conti dell’Unione europea, le "uscite positive" dal programma Garanzia giovani – quelle per cui non si è più considerati Neet – hanno riguardato negli altri Paesi soprattutto uno sbocco lavorativo vero e proprio, con percentuali che variano dal 65% dell’Irlanda, all’84% della Spagna, fino al 90% della Francia (contro circa il 30% in Italia).

In secondo luogo, le misure di politica attiva messe in campo con maggiore frequenza dalla Garanzia giovani dopo i tirocini sono i bonus occupazionali (14,6%) e la formazione mirata all’inserimento lavorativo (circa l’8%). Pertanto, nel nostro Paese il divario tra gli stage e le altre misure è netto, dal momento che il ricorso a quest’ultime rimane molto limitato, se non del tutto residuale come nel caso di interventi quali l’apprendistato, il servizio civile o l’autoimprenditorialità.

In altre parole, nei fatti la Garanzia giovani in Italia si è palesata come la prima politica di promozione e sostegno agli stage mai realizzata finora sull’intero territorio nazionale. Nella comune percezione, i risultati di questa politica appaiono molto deludenti. L’incremento degli stage, a fronte di una situazione dell’occupazionale giovanile di poco migliorata negli ultimi anni, lascia ampi sospetti sul reale contenuto formativo di molte di queste esperienze, spesso esposte ad abusi.

A dire il vero, una qualche preoccupazione l’aveva mostrata anche il governo che era intervenuto all’inizio del 2016 introducendo i cosiddetti «super bonus occupazione – trasformazione tirocini» che avevano, per l’appunto, lo scopo di favorire il passaggio verso un’assunzione vera e propria. Il Super bonus è stato prorogato per il 2017 e potrà essere fruito entro il febbraio 2018, mentre l’importo varia da 3.000 a 12.000 euro, a secondo del profilo del giovane tirocinante. Si tratta dunque di un tentativo di correggere la rotta, favorendo dal punto di visto economico i privati che assumono giovani tirocinanti con contratto a tempo indeterminato di almeno 12 mesi o di apprendistato professionalizzante. Una correzione di rotta che però è apparsa solo molto parziale per almeno due motivi.

Da un lato, il Super Bonus può essere ottenuto da un’azienda a prescindere dal fatto che il tirocinio sia stato o meno realizzato presso il medesimo datore di lavoro (e quindi in teoria "super-incentivando" anche l’assunzione di giovani che possono esibire nel loro CV almeno uno stage, indipendentemente dal suo contenuto e dalla valenza formativa). Dall’altro, perché il problema della qualità degli stage è più profondo e non può essere affrontato solo attraverso forme di incentivazione o accrescendo le sanzioni e i controlli da parte dello Stato (cosa che comunque sarebbe auspicabile). Ciò che ancora manca è infatti un diverso approccio "culturale" alla valorizzazione degli stage, tale per cui gli abusi dovrebbero essere messi all’indice innanzitutto dagli stessi attori economici e dalle loro organizzazioni di rappresentanza non solo per le negative ricadute sociali che comportano, ma anche come pratica di competizione scorretta.

Al di là degli aspetti negativi, non tutti gli stage promossi da Garanzia giovani sono da considerarsi automaticamente come "tempo sprecato" dai giovani. Stando ai dati riportati dal recente rapporto dell’Anpal, poco più di un quarto di questi stage (26,7%) si traduce in un’occasione di inserimento lavorativo immediato. Tale quota sale al 37% nelle regioni del Nord, assestandosi però solo al 16% al Sud. Si tratta di percentuali non incoraggianti, che ovviamente risentono anche delle condizioni contestuali del mercato del lavoro.

In sintesi, la Garanzia giovani sembra essere diventata principalmente una strategia di promozione di stage dall’esito incerto. Un risultato tutto sommato modesto, rispetto alle intenzioni originarie, che sembra celare nei fatti un processo di eterogenesi dei fini. Come più volte ricordato su questo stesso sito, la GG era stata pensata come una ben più complessa strategia di promozione complessiva dell’occupabilità dei giovani, nonché un’apripista di una riforma complessiva delle politiche attive del lavoro e dei servizi per l’impiego. Due obiettivi che rimangono ancora in addivenire.

Ripensare la Garanzia giovani, tornando alle origini

Un modo per ripensare alla nuova Garanzia giovani potrebbe essere quello di recuperare lo spirito originario di questo programma, vale a dire offrire alle fasce più vulnerabili della popolazione giovanile un servizio di assistenza intensivo e delle concrete chance di inserimento occupazionale. La Garanzia giovani – è bene non dimenticarlo – nasce infatti con l’intenzione di rivolgersi non ai giovani, come lo stesso nome sembra suggerire, ma ai Neet. Questo stesso acronimo – Neet – in realtà fa riferimento a una fin troppo ampia categoria che nasconde al suo interno una pluralità di situazioni e condizioni che andrebbero analizzate con estrema attenzione a livello locale, al fine di progettare interventi mirati soprattutto verso coloro che mostrano i profili più fragili. È a questo che la nuova Garanzia giovani dovrebbe mirare, dal momento che gli scopi perseguiti dalla GG nei suoi primi anni di implementazione in Italia sono stati non solo (troppo) numerosi, ma anche diversi rispetto al suo spirito originario .

La Garanzia giovani dovrebbe dunque (tornare a) diventare più compiutamente una delle componenti cruciali di una strategia ben più ampia e articolata. Quest’ultima dovrebbe essere incentrata su almeno altri quattro pilastri fondamentali: 1) le attività di orientamento all’interno delle scuole; 2) la promozione dell’apprendistato; 3) la promozione di una (sana) alternanza "scuola-lavoro" e 4) l’investimento nelle università italiane e nei percorsi di istruzione terziaria. Si tratta di una strategia ancora lontana dall’essere pensata come un disegno sinergico e che al momento si presenta come un paesaggio scomposto, punteggiato da numerosi "cantieri" di intervento aperti nei quali lo Stato e le regioni, con le dovute eccezioni, non sembrano brillare. All’interno di questa strategia globale, la Garanzia giovani dovrebbe trasformarsi in ciò che non è mai stata fino in fondo: un programma di intervento fortemente mirato e non generalista.

In tal senso, la nuova Garanzia giovani in Italia dovrebbe focalizzarsi e (ri-)strutturarsi come misura fortemente orientata a favore dei soggetti socialmente più vulnerabili all’intero dell’ancora troppa indistinta categoria dei Neet. Questo significa che la GG dovrebbe chiarire meglio le sue priorità, gli strumenti che può realisticamente mettere in campo e, di conseguenza, gli indicatori e le modalità attraverso le quali deve essere successivamente valutata. Ciò non vuole dire abbandonare l’intento, tanto ambizioso quanto ancora lontano, di pensare a una politica nazionale di promozione a largo spettro dell’occupazione giovanile o alla, da sempre rincorsa, riforma delle politiche attive del lavoro in Italia. Questi obiettivi rimangono infatti cruciali, ma non sono la "stella polare" a cui la Garanzia giovani da sola può realisticamente tendere. Sarebbe come continuare ad aspettare i Tartari all’interno della Fortezza Bastiani.

Al contrario, la vera ambizione della Garanzia giovani dovrebbe essere quello di saper circoscrivere meglio sé stessa, concentrando gli sforzi sulle fasce più deboli della popolazione giovanile, ovvero su coloro che sono ancora troppo distanti da un mercato del lavoro che in alcuni territori sembra quasi non esserci. In questo suo ridefinirsi come componente specializzata all’interno di un sistema di intervento più vasto e articolato, la Garanzia giovani potrebbe ancora ritrovare qualche opportunità di rinascita.

In fondo, si tratterebbe di far sì che la Garanzia giovani diventi finalmente una strategia "adulta". Magari prospettando anche una modifica del suo stesso nome, al fine di segnarne l’uscita dalla fase della pubertà.