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Come sottolineato in un nostro precedente articolo, uno dei pregi principali dell’opera collettanea New Frontiers of Philanthropy. A Guide to the New Tools and Actors Reshaping Global Philanthropy and Social Investing, curata da Lester Salamon, risiede nello spazio ivi dedicato ai nuovi attori operanti nel nascente mondo dell’impact investing. Tale opzione è meritoria, soprattutto se si considera lo scopo dell’opera cui si sta ora facendo riferimento: «offrire una guida coerente a coloro che contemplano di entrare in questo nuovo territorio ma necessitano un po’ di chiarezza rispetto a ciò che potrebbero incontrare sulla loro strada».

Quello che sembra potersi definire come approccio soggettivo al tema dell’impact investing offre un contributo significativo per comprendere le dinamiche in atto: mentre i nuovi strumenti sorprendono per l’inventiva e appassionano per le promesse che sembrano fare, il discorso relativo ai nuovi soggetti potrebbe apparire meno avvincente e dal taglio più descrittivo che progettuale. Tuttavia occorre notare come i nuovi strumenti sono sistemi attraverso cui organizzare operazioni, attività e servizi che non emergono dal nulla: l’avvento di una vasta serie di nuovi attori ha portato l’invenzione e lo sviluppo di nuove “tecniche filantropiche” o di social investing. Comprendere natura e finalità di tali nuovi soggetti è la premessa indispensabile per approfondire la conoscenza dei nuovi strumenti della finanza sociale, dei relativi limiti e delle prospettive evolutive degli stessi.

Infatti, ciò che appare con chiarezza anche a chi offrisse un rapido sguardo alle nuove frontiere della filantropia è che tale territorio, ancora in fase di stabilizzazione, è tutt’altro che inabitato. Al contrario è ricco di nuove e significative forme di vita. Diventa quindi centrale offrire una preliminare introduzione ai vari attori presenti e operanti nel “nuovo mondo” della filantropia, per fissare qualche elemento utile ad ulteriori e più specialistici approfondimenti. Nonostante ci siano notevoli differenze tra i vari attori, in linea con lo sviluppo dato da Salamon al suo percorso di ricerca, sembra ragionevole raggruppare i nuovi soggetti operanti nell’ambito dell’impact investing in tre principali categorie.

  • La prima categoria raggruppa nuovi tipi di istituzioni finanziarie che sono emerse con lo scopo di mobilitare capitali nell’ambito del mercato dell’impact investing;
  • La seconda categoria consiste invece negli attori che offrono varie forme di supporto alle nuove istituzioni finanziarie sopra richiamate;
  • La terza categoria, infine, raccoglie una varietà di altri attori che rimangono essenzialmente orientati su strumenti filantropici tradizionali (grant making), ma che stanno al tempo stesso operando secondo modalità nuove.

Vale la pena dunque illustrare almeno alcuni dei nuovi attori, rimandando al corposo volume di Salamon per una rassegna completa ed approfondita. In particolare si richiamano di seguito quegli attori che meglio di altri – secondo l’opinione di chi scrive – si configurano come esemplificazioni utili a comprendere le linee evolutive seguite dai soggetti operanti nelle categorie sopra menzionate.

Istituzioni finanziarie

Come si è di recente potuto illustrare, data l’enfasi che le nuove frontiere della filantropia pongono sul principio della “leva finanziaria” con l’idea di sfruttare appieno i capitali di investimento a fini sociali, il naturale punto di partenza per un excursus tra i nuovi attori della finanza sociale è senz’altro quello che guarda alle nuove istituzioni finanziarie che sono emerse proprio per sfruttare e incanalare le risorse presenti.

1. Aggregatori di capitali
Tra questo genere di nuovi attori, i più rilevanti sembrano essere i c.d. “aggregatori di capitali”. Queste organizzazioni perseguono lo scopo di raccogliere capitali per investimenti in imprese e soggetti orientati al sociale. La maggior parte dei soggetti dotati di capitali di investimento infatti non agisce direttamente e si avvale generalmente di un qualche tipo di istituto o fondo, che aggrega le risorse di diversi investitori e ne individua la collocazione migliore. Mentre tale tipo di istituzioni sono ampiamente diffuse nei mercati di capitali tradizionali, nelle forme di società di investimento, fondi mutualistici e fondi di capitali di debito o di rischio, la loro presenza nell’arena degli investimenti sociali è stata a lungo carente, lasciando i bisogni delle imprese sociali, almeno in parte, sulle spalle di governi, fondazioni, soggetti particolarmente facoltosi o banche commerciali. In tale campo un significativo cambiamento deve essere registrato soprattutto nell’ultima decade, grazie anche ad un forte incoraggiamento da parte di alcuni governi. Gli aggregatori di capitali sociali possono presentarsi con diverse forme, assumere diverse dimensioni e attingere a differenti tipologie di capitali. Con sempre maggiore frequenza, tra i capitali attratti dagli aggregatori si registrano quelli di istituzioni finanziarie di prim’ordine, come fondi pensionistici, compagnie assicurative e società di servizi finanziari operanti su scala globale. Tutti questi soggetti sono stati attratti dall’opportunità sintetizzata spesso con l’espressione “to do good while doing well” (fare del bene mentre si fa bene) e hanno così iniziato a considerare alcuni investimenti a carattere sociale come una promettente asset class. Indipendentemente dal loro focus e dal loro raggio d’azione, tutti gli aggregatori di capitale sociale funzionano come intermediari nel mercato dei capitali sociali: da un lato, raggiungono e raccolgono soggetti disposti a investire i propri capitali in attività sociali, dall’altro, individuano promettenti imprese a finalità sociale nelle quali collocare tali capitali. Considerati i diversi “appetiti” circa i rischi e i ritorni finanziari di ciascun investitore, differenti aggregatori di capitali possono operare in differenti punti del mercato sociale. Alternativamente, possono assemblare diversi elementi o “prodotti strutturati di investimento”, ciascuno con le proprie caratteristiche in termini di rischi e ritorni, e quindi ciascuno con la propria classe di investitori potenziali.

2. Social stock exchanges
Un terzo tipo di innovazione che prende forma sulle nuove frontiere della filantropia è rappresentato dall’avvento del concetto di stock exchange (la borsa valori, per intendersi) proprio nell’ambito degli investimenti ad impatto sociale. I social stock exchanges offrono agli investitori sociali modalità più efficienti per entrare in rapporto con attività di imprenditoria sociale alla ricerca di capitali. A differenza degli aggregatori di capitali e degli operatori nei mercati secondari, che si devono misurare con le difficoltà concernenti la ricerca di investitori disponibili a condividere la loro propensione al rischio e la loro vocazione per l’impatto sociale, oltre che commercializzare i relativi prodotti finanziari, i social stock exchanges semplicemente offrono piattaforme attraverso le quali ciascun investitore può allocare le proprie risorse in investimenti sociali ritenuti dallo stesso di interesse. Peraltro, tali piattaforme offrono automaticamente l’assicurazione a ciascun investitore di poter uscire dall’investimento in qualunque momento ciò divenga necessario o desiderabile. Ovviamente perché questo sia possibile, le “borse sociali” devono – e sempre più dovranno – sviluppare disposizioni relative alle quotazioni, standard per gli obblighi di comunicazione da parte dei soggetti “quotati” e meccanismi di scambio che siano efficienti, precisi, e a prova di frode.

3. Fondi di investimento quasi-pubblici
Anche organizzazioni appartenenti al sempre più sfumato settore pubblico hanno da tempo preso parte alla creazione di programmi e strutture specializzate in investimenti ad impatto sociale. A tal proposito si deve segnalare come un particolare rilievo sia stato assunto da numerose istituzioni internazionali e multilaterali, come le banche per lo sviluppo. A differenza degli aggregatori di capitali, queste istituzioni offrono iniezioni di risorse pubbliche o quasi-pubbliche nel mercato degli investimenti ad impatto sociale. Peraltro si deve notare che l’attività di questi soggetti quasi-pubblici supera la semplice operatività dei fondi di investimento, posto che i capitali spesso sono utilizzati come garanzia per operazioni ben più complesse, non di rado assimilabili a meccanismi di public-private partnership. In ogni caso si deve altresì segnalare che tra questi soggetti quasi-pubblici, le banche per lo sviluppo non sono certamente gli unici istituti che si adoperano per la crescita di investimenti ad impatto sociale. Numerosi paesi, soprattutto di tradizione anglosassone, hanno documentato una particolare attività su questo fronte, accompagnata da una discreta inventiva, attraverso la creazione di strutture in grado di incanalare risorse pubbliche o quasi-pubbliche (ad esempio derivanti da monopoli o dai c.d. “fondi dormienti”) per attività di investimento a carattere sociale.


Organizzazioni di supporto agli investimenti

Per assistere gli aggregatori di capitale, i mercati secondari, le fondazioni che agiscono come banche filantropiche e i fondi di investimento quasi-pubblici che sono emersi in questo nuovo mercato di capitali ad impatto sociale, è recentemente affiorata una serie di nuovi soggetti dedicati alla fornitura di servizi.

1. Broker di imprese sociali
Tra questi nuovi attori che fanno da supporto alle istituzioni finanziarie a finalità sociale, uno dei più significativi è quello che potrebbe esser definito come broker di imprese sociali. Questi soggetti sono individui o istituzioni che svolgono la fondamentale funzione di intermediari: da un lato aiutano gli aggregatori di capitale ad identificare attività imprenditoriali promettenti e in grado di fornire la combinazione desiderata di ritorni finanziari e impatto sociale, dall’altro supportano tali imprese a trovare la loro strada verso i potenziali investimenti che siano allineati, sia dal punto di vista sostanziale che finanziario, con le attività e le esigenze dell’impresa. La necessità di soggetti che adempiano ad una simile funzione deriva dai significativi costi di transazione che esistono su entrambi i lati del mercato degli investimenti ad impatto sociale. Tanto gli investitori che gli imprenditori sociali sono infatti costantemente alla ricerca di partnership capaci di allineare i loro rispettivi ambiti di attività, le forme desiderate di investimento e i profili di rischio e ritorno, all’interno di un mercato generalmente molto frammentato e talvolta poco trasparente. A fondare l’esistenza dei broker di imprese sociali, stanno anche le particolari difficoltà connesse alla valutazione dei rischi nell’ambito dell’impatto sociale, considerate le incertezze relative ai nuovi prodotti o servizi offerti dalle imprese sociali. In tal senso l’assenza di studi approfonditi circa il comportamento dei “consumatori” di prodotti e servizi sociali e quindi la difficoltà di riscontrare il “successo” di quanto offerto dalle singole imprese sociali, ha contribuito e non poco all’emersione di broker specializzati.

2. Capacity builders
Un’altra funzione che è cresciuta e ha assunto nuove forme con l’emersione di imprese e investimenti ad impatto sociale è quella dei c.d. capacity builders. Per la verità bisogna segnalare che soggetti come quelli ora citati e fornitori di assistenza tecnica operano nell’ambito non profit e delle organizzazioni a finalità sociali ormai da decenni. Tuttavia, queste organizzazioni e i consulenti sino ad ora attivi nell’ambito del c.d. terzo settore si sono concentrati su argomenti classici dell’organizzazione e del management, come ad esempio il fundraising, l’organizzazione di eventi speciali, lo sviluppo direzionale, i sistemi di contabilità e le politiche delle risorse umane. I nuovi capacity builder, invece, sembrano concentrarsi su un differente obiettivo: lo scopo del loro intervento è la sostenibilità e la scalabilità dell’organizzazione. Infatti si occupano prevalentemente di assistere le organizzazioni nello sviluppo di strategie per l’incremento e la stabilizzazione del reddito, nell’accesso alle nuove forme di finanziamento diverse dalle classiche sovvenzioni e nella misurazione degli outcomes sociali.

3. Organizzazioni di infrastruttura
Oltre ai soggetti sopra menzionati, che nel loro complesso offrono essenzialmente assistenza e supporto retail ad investitori, imprenditori e organizzazioni non profit di prima linea, è emerso anche un sostanziale network di organizzazioni che fanno da infrastruttura, con lo scopo di supportare il lavoro dei nuovi attori ad un livello più generale. Queste infrastrutture assolvono ad una serie di fondamentali funzioni per il campo nel quale operano: esse connettono tra loro gli operatori del settore, fanno conoscere e apprezzare il settore stesso e così attraggono nuovi soggetti e ulteriori supporti esterni, legittimando e rafforzando da un punto di vista culturale e sociale la pratiche in corso. Lo spazio occupato dalla finanza sociale si è dimostrato essere un terreno estremamente fertile per la crescita di questo genere di organizzazioni infrastrutturali, ciascuna in grado autonomamente di servire virtualmente ogni potenziale soggetto avente interesse (dai cittadini ai policy makers) e coprendo ogni angolo di questo campo in rapido sviluppo.


Nuovi tipi di soggetti erogatori

Mentre i precedenti nuovi attori si concentrano tutti su qualche aspetto relativo ad investimenti ad impatto sociale diversi dalle forme classiche delle sovvenzioni, si deve registrare altresì la presenza di alcuni soggetti che stanno introducendo entro le forme più tradizionali delle attività filantropiche nuove e creative modalità di mobilitazione di risorse, attraverso meccanismi come quelli dei portali internet di scambio, dei fondi filantropici di origine aziendale e dei finanziamenti collaborativi.

1. Portali internet di scambio
Una categoria di attori tra i più innovativi è quella dei soggetti che fanno uso creativo delle nuove tecnologie di comunicazione per collegare i donatori e gli investitori direttamente con le organizzazioni beneficiarie, con un’immediatezza che prima non era possibile. Una nuova classe di portali online è emersa per assolvere a questa funzione attraverso una diversificata gamma di risorse filantropiche. Questi soggetti non sono solo i fornitori di servizi internet che capita siano utilizzati per trasferire denaro, materie prime o opportunità di lavoro volontario. Piuttosto, si tratta di organizzazioni appositamente strutturate per agire come punti di trasferimento tra donatori e beneficiari, spesso con il vantaggio di elaborate banche dati e avanzati sistemi di sicurezza. Per di più, tali soggetti si sono evoluti per gestire almeno tre diversi tipi di risorse: (a) le risorse finanziarie, comprese le liquidità a breve termine e il capitale di investimento a lungo termine; (b) le materie prime, come prodotti hardware e software, prodotti farmaceutici e cibo; e (c) prestazioni di servizi, sia retribuite che a titolo volontario. A dire il vero, questi portali online non hanno ancora raggiunto una dimensione che competa con i principali meccanismi di contribuzione filantropica. Per di più, vi sono valide ragioni per chiedersi se stiano contribuendo ad un incremento netto rispetto alle risorse mobilitate generalmente per fini filantropici. Tuttavia, poiché questo insieme di attori ha guadagnato trazione e visibilità, si deve riconoscere che il loro avvento ha portato a questo settore una nuova platea di soggetti, iniettando nuova vitalità e immediatezza ai tradizionali modi di fare beneficenza e volontariato.

2. Fondazioni di conversione
Ancora, un ulteriore tipo di attore che ha fatto la sua comparsa alle nuove frontiere della filantropia è quello rappresentato dalle “fondazioni di conversione”. A differenza delle classiche fondazioni indipendenti, che normalmente si formano grazie alle fortune accumulate da singoli imprenditori, le fondazioni di conversione nascono dal processo di privatizzazione di qualche bene pubblico o quasi-pubblico. L’attività in questione può essere un’impresa di proprietà del governo, un edificio o altri beni in proprietà pubblica, specifici flussi di entrate sottoposte al controllo pubblico (ad esempio, proventi di lotterie statali o di vendite di diritti minerari), scambi di debito e conversioni di organizzazioni quasi-pubbliche da non profit in profit. L’emersione di questo genere di fondazioni può essere spiegato in buona parte dalle più recenti spinte neoliberali per la privatizzazione di numerose istituzioni pubbliche o quasi-pubbliche. Tuttavia – sottolinea Salamon – questo fenomeno è importante non solo in se stesso, ma anche perché sembra sottolineare un possibile percorso per la creazione di ragionevoli tentativi in paesi meno sviluppati: in tali realtà la ricchezza privata per la creazione di fondazioni filantropiche di una certa dimensione è insufficiente, ma i governi sono in possesso di grandi compagnie pubbliche o di consistenti diritti minerari, la cui vendita potrebbe essere in parte usata per la creazione di fondazioni filantropiche dedicate alla salute e al welfare delle popolazioni locali.

Per concludere

In breve e per concludere, si può osservare come negli ultimi anni sia avvenuta una sorta di “esplosione” alle nuove frontiere della filantropia: come più volte lo definisce lo stesso Salamon, un “big bang” che ha scatenato l’emersione di una serie di nuovi attori desiderosi di mettere i loro talenti e le loro energie nella ricerca di nuove soluzioni a vecchi problemi, e che stanno trovando nuove risorse per finanziare i loro sforzi. Alcuni di questi nuovi attori stanno facendo emergere il versante dell’offerta del mercato degli investimenti ad impatto sociale. Altri stanno fornendo una varietà di servizi di supporto sia ai soggetti finanziati sia alle entità che stanno generando risorse per il sostegno dei primi. E altri ancora stanno applicando le nuove tecnologie o nuovi approcci ai tradizionali sforzi filantropici basati sul sistema delle sovvenzioni. Qualunque sia la forma, tuttavia, il risultato sintetico che si deve registrare è la diffusione di enegie e innovazioni che da molto tempo non si dimostravano così presenti e pervicaci nello spazio filantropico.

I soggetti illustrati da Salamon sono solamente i “nuovi attori”. Ad avviso di chi scrive si dovrebbero tenere a mente e considerare con altrettanta attenzione anche i “vecchi attori”, posto che questi sono parte integrante del cambiamento in atto. A maggior ragione se si considera anche il versante giuridico del tema, almeno in parte discusso nel nostro Paese sotto i venti di riforma della legge sull’impresa sociale: il mondo del c.d. terzo settore è tutt’altro che un monolite. Infatti è caratterizzato da una varietà di soggetti, peraltro molto eterogenei, al punto che riferendosi ad alcuni di questi, qualcuno ha iniziato a parlare di c.d. quarto settore (Sabeti 2011).

Nei paesi anglosassoni si è infatti assistito negli ultimi anni ad una proliferazione di nuovi soggetti non raccolti nelle osservazioni di Salamon ma non per questo secondari, sia nel processo di cambiamento in discorso, sia in relazione alla loro capacità di formare e ri-formare il sistema filantropico o dei servizi sociali (si pensi alle b-corporations, 3Lc, alle community interest companies o più in generale hybrid organizations). In tal senso la letteratura scientifica anglosassone ha presentato una maggiore attenzione di quella europea al tema, soprattutto sul versante giuridico (Eldar 2014). È pur vero che Salamon considera alcuni “esponenti” dei vecchi attori, individuandoli come targets dell’azione dei nuovi attori: in una prospettiva funzionale non è scorretto, però bisogna tenere ben presente che tali “targets”, ossia i soggetti per i quali i nuovi attori si sono costituiti e son divenuti operanti, sono anch’essi soggetti in movimento, dinamici. In altri termini: fanno parte e stanno alla base del cambiamento in atto.


Riferimenti

Salamon L. (2014), New Frontiers of Philanthropy. A Guide to the New Tools and Actors Reshaping Global Philanthropy and Social Investing, Oxford University Press

Sabeti H. (2011), The For-Benefit Enterprise, Harvard Business Review

Eldar O. (2014), The Role of Social Enterprise and Hybrid Organizations, Yale Law & Economics Research Paper No. 485  

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