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Il posto garantito al nido è da tempo una realtà nell’area nordica. La Germania è il primo Paese continentale ad approdare a questa meta, a partire dal primo agosto 2013. Si tratta di un encomiabile successo di Ursula Von der Leyden, ministra del Lavoro (Cdu) del governo Merkel. Ma il successo è stato possibile grazie a una felice combinazione di condizioni, sulle quali è opportuno riflettere. 

Innanzitutto, da almeno tre legislature la quota di donne in Parlamento supera il 30 per cento. Secondo gli studiosi si tratta della soglia minima per dar voce e forza all’«agenda donne».

In secondo luogo, nella sua battaglia per la riforma Von Den Leyden ha trovato una sponda efficacissima nelle colleghe socialdemocratiche e in particolare in Renate Schmidt, che l’aveva preceduta nel governo Schröder. Grazie all’intesa fra le due ministre, il rafforzamento dei congedi parentali e dei servizi all’infanzia era stato indicato come punto fondamentale della prima Grande Coalizione (2005-2009) e confermato poi nella seconda (2009-2013).

La terza condizione è stata infine l’appoggio esplicito e genuino di Angela Merkel. La Cancelliera ha non solo favorito il formarsi di una coalizione trasversale fra donne, ma si è schierata con fermezza dalla parte della «sua» ministra, difendendola dai numerosi attacchi dell’ala conservatrice e maschilista di Cdu e Csu. Valorizzando le biografie personali di Von der Leyden e Schmidt (entrambe madri, professioniste di successo e infine ministre) Merkel ha saputo collegare il tema dei congedi e dei nidi a quello della conciliazione, e dunque dell’occupazione femminile. Si è così avviato un circolo virtuoso, che ha convinto (quasi) tutti.

L’Italia delle larghe intese saprà imitare la Germania? Enrico Letta si è più volte dichiarato convinto fautore dell’agenda «donne e bambini». Paradossalmente, sentiamo poco la voce delle ministre e dei parlamentari di sesso femminile. Come dimostra il caso tedesco, senza un fattivo asse bipartisan, le riforme non si riescono a fare. E i circoli virtuosi del lavoro femminile non si attivano, aggravando così la morsa della crisi.

 

Questo articolo è stato pubblicato anche su La Ventisettesima Ora